Per i classici fare una recensione decente è difficile. Dire qualcosa che non è stato ancora detto è difficile, d'altro canto se devo essere superficiale, tanto vale che non scriva. Così vi propongo la mia relazione sulla Pro Ligario, per dire tutto quello bisogna dire... Per correttezza vi dirò che non è tutta farina del mio sacco, 50 e 50 con una mia amica.
“Homines enim ad deos nulla re
propius accedunt quam salutem hominibus dando.”
Un esempio di oratoria salvifica
La “Pro Ligario” è un’ orazione di difesa composta da Marco
Tullio Cicerone nel novembre del 46 per il processo di Quinto Ligario. La causa
vedeva alla difesa Cicerone e all’accusa Quinto Elio Tuberone. Al posto dei
comizi centuriati o del tribunale permanente, come giudice, vediamo Gaio Giulio
Cesare, appena diventato dittatore e quindi con poteri plenari, compreso quello
giudiziario, che acconsentì allo svolgimento del processo nonostante non fosse
consentito per accuse di tal genere (Tuberone, accusando Ligario di alto
tradimento, ne chiedeva infatti la pena di morte) essendo assente l’imputato, esiliato
in Africa.
Finora abbiamo trattato della causa per la quale si svolse
quest’orazione, ma che cos’è un’orazione?
“Oratoris officium est de iis rebus posse
dicere quae res ad usum civilem moribus et legibus constitutae sunt, cum
adsensione auditorum quoad eius fieri poterit.”
L’oratoria a Roma arrivò dalla Grecia, con l’apertura di
scuole di retorica, e si sviluppò come strumento di confronto politico e fu, in
un primo tempo, strettamente legata ai discorsi tenuti in senato o durante i
cortei funebri. Con le istituzioni dei tribunali permanenti nel II secolo a.C.
si sviluppò l’oratoria giudiziaria. L’oratoria fondava la base della formazione
del giovane cittadino romano che doveva essere ispirato ad un conservatorismo
politico umanizzato e non freddamente impersonale. Successivamente l’oratoria
divenne un fenomeno letterario e possiamo enumerare svariate pubblicazioni
oltre che manuali di retorica, in cui vengono approfonditi i generi delle cause
giudiziarie, i modi in cui trattarli, gli stili da usare, le maniere per
accattivarsi il pubblico e le cinque operazioni fondamentali della tecnica
retorica.
Queste sono: inventio,
dispositio, elocutio, memoria e actio.
Per inventio si
intende il reperimento degli argomenti su cui si basa il discorso, mentre la dispositivo è la collocazione di questi
argomenti secondo un preciso ordine. L’elocutio
è l’elaborazione formale e stilistica del discorso, invece le tecniche di
apprendimento mnemonico sono chiamate memoria,
infine l’actio consiste nella messa
in scena del discorso da parte dell’oratore, con l’ausilio della gestualità e
della adeguata dizione.
Un’ orazione, per essere chiamata tale, deve poter essere
divisa in: exordium, narratio,
argumentatio (costituito da confirmatio
e confutatio) e peroratio.
“Novum crimen, Gai Caesar, et ante hanc
diem non auditum propinquus meus ad te Quintus Tubero detulit, Quintum Ligarium
in Africa fuisse ”
E’ questo l’ exordium
della “Pro Ligario”, cioè la parte introduttiva in cui l’oratore si preoccupa
di suscitare l’attenzione dell’uditorio. L’exordium
presenta un’ alta componente psicologica ed è la parte più delicata del
discorso. Gli exordia possono essere
di due tipi: diretto o indiretto. L’exordium
diretto “si ha quando ci rendiamo
immediatamente propizio all’ascolto l’animo dell’uditorio”
mentre quello indiretto si ha quando si parla brevemente dell’argomento
trattatocercando di rendere il pubblico propizio mediante la
dissimulazione degli intenti. In alcune cause gli oratori possono decidere di
non avvalersi dell’
exordium e in sua
vece citare una legge
favorevole. Bisogna che l’oratore curi in maniera particolare l’esordio perché
sbagliandolo diviene inefficace se non controproducente. E’ necessario che l’exordium sia scelto in base alla
tipologia della causa da trattare, che può essere honestus, turpe, dubium e humile.
Una causa si definisce onorevole “cum aut defendimus quod ad omnibus defendendum videtur, aut
oppugnabimus quod ad omnibus videtur oppugnari debere.”
mentre si definisce turpe “cum aut
honesta res oppugnatur aut defenditur turpis.”.
E’ incerta una causa “cum habet in se causa et honestatis et
turpitudinis partem” invece è
umile “cum comtrempta res adfertur.”
Il processo a Ligario è una causa considerata turpe e per
questo vediamo che Cicerone usa un exordium
indiretto e pone l’accento sull’accusatore che non solo presenta in
tribunale un’accusa nuova e mai sentita, ma lui stesso se ne è macchiato.
Gli argomenti dell’ esordio possono essere quattro:
l’avversario, come fa Cicerone, l’oratore, gli ascoltatori oppure i fatti.
L’oratore partendo dall’avversario dovrebbe attirare su di
lui odio, disprezzo e invidia, mentre dovrebbe lodare le proprie azioni senza
arroganza e ricordare la passata condotta per ottenere la benevolenza
dell’uditorio. Se invece cominciasse dagli ascoltatori dovrebbe rimarcarne
saggezza e nobiltà, se dai fatti dovrebbe lodare la propria causa gettando
discredito su quella dell’avversario.
“Quintus enim Ligarius, cum esset nulla
belli suspicio, legatus in Africam C. Considium profectus est… Bellum subito
exarsit quod qui erant in Africa ante audierunt geri quam parari… Interim
P.Attiu Varus qui praetor Africam obtinuerat, Uticam venit… adripuit imperium…
Itaque Ligarius qui omne tale negotium fugeret, paulum adeventu Vari conquievit
.”
Questi sono brevi estratti della narratio, che consiste in una breve esposizione di fatti e
antefatti, dove vediamo ripercorsi i passi di Ligario in Africa, che inviato lì
come luogotenente di Considio, alla morte di questo, ne viene messo a capo per
volere delle province, lui che non desiderava questo incarico. Infatti,
all’arrivo del pretore Varo, gli cede il comando, riuscendo ad ottenere un po’
di tranquillità.
A questo punto Cicerone passa all’argumentatio.
“ Adhuc, Gai Caesar, Quintus Ligarius omni
cupla vacat… profectio voluntatem habuit non turpem, remansio necessitatem
etiam honestam…quod post adventum Vari in Africa restitit, si est criminosum,
necessitatis crimen est, non voluntatis…Vide quam non reformidem, quanta lux
liberalitatis et sapientiae tuae mihi apud te dicenti oboriatur…”[11]
L’argomentatio è
la dimostrazione della propria tesi (confirmatio)
e la successiva demolizione della tesi avversaria (confutatio).
“Nempe is qui et ipse in eadem provincia
esse voluit et prohibitum se a Ligario queritur, et certe contra ipsum Casarem
est congressus armatus. Quid enim tuus ille, Tubero, destrictus in acie
Pharsalica gladius agebat?...Arguis fatentem. …accusas eum qui causam habet aut
(…) meliorem quam tu, aut (…) parem. …non habet eam vim ista accusatio ut
Quintus Ligarius condemnetur, sed ut necetur… externi sunt isti mores…Non tu hunc ergo patria privare, quo
caret, sed vita vis…<<Cave ignoscas!>>Haec nec hominis nec ad
hominem vox est; qua qui apud te, Gai Caesar, utetur, sua citius abiciet
humanitatem quam extorquebit tuam.”
Inoltre l’oratore pone l’accento sulla
humanitas del giudice e sugli affetti dell’esiliato e dei suoi
fratelli che preferirebbero essere in esilio con lui, piuttosto che a Roma da
soli. Cicerone ribadisce quindi che il giudice non deciderà solamente del
destino di Quinto Ligario, ma di quello di tutti i tre fratelli.
CONCLUSIONE: Cesare che inizialmente aveva
concesso il ritorno in patria di Ligario, alla accusa di Tuberone è già deciso
per la condanna a morte. L’orazione di Cicerone però riesce a tentarlo e alla
fine Cesare grazierà Ligario.
La sua decisione gli si ritorcerà contro: Ligario sarà uno
dei congiurati che alle Idi di marzo del 44 accoltellerà Cesare all’entrata del senato.
Le orazioni
cesariane: PRO LIGARIO e PRO MARCELLO
a confronto
Le orazioni cosiddette “cesariane” sono tre: “Pro Marcello”,
“Pro Ligario” e “Pro rege Deiotaro”.
La “Pro Marcello” in realtà non è un’orazione difensiva ma
una gratiarum actio, cioè un’
orazione di ringraziamento per Cesare, che ha perdonato pubblicamente il suo
antico avversario e gli ha concesso il ritorno in patria..
Marcello era un esponente della nobiltà senatoria e uno dei più forti
oppositori di Cesare, anche prima dello scoppio della guerra civile. Dopo la
battaglia di Farsalo, Marcello si ritirò in esilio volontario a Mitilene,
sdegnandosi di chiedere il perdono di Cesare e fu solo su insistenza di
Cicerone, vecchio amico e compagno di studi, e del fratello Gaio, che si
risolse a chiedere il ritorno a Roma. Cesare che vedeva in Marcello un punto di
riferimento per i pompeiani attivi e un nuovo Catone, non volendo renderlo un
martire, gli concesse la grazia.
L’orazione di Cicerone è una lode a Cesare, di cui viene
esaltata la clementia, la mansuetudo, il modus, la sapientia, la iustitia, la lenitas e l’aequitas, la liberalitas e la misericordia. Queste virtù non devono essere circoscritte alla vita
politica, ma estese anche alla vita civile, e devono essere possedute da colui
che ha responsabilità politiche. Cesare è considerato da Cicerone una persona
eccezionale, quasi divina, perché le possiede entrambe ed è quindi il solo a
poter ricostruire la res publica.
Cesare infatti concedendo il perdono a Marcello non gli permette solo di
ritornare in patria, ma lo reintegra nei suoi diritti civili e politici,
restituendo anche l’auctoritas al
senato. L’idea di res publica di
Cicerone era di uno stato come bene comune a cui tutti assoggettassero
l’interesse individuale e quindi si illude che Cesare possa portare una
condizione dove dittatore e senato collaborino. Quest’ultima convinzione viene
alimentata dalla clementia del
giudice, che non si impone sui vinti, ma ricerca la pace, smentendo la
condizione stessa della guerra.
L’oratore infatti privilegia la gloria civile a quella
militare e in questa orazione tenta di suggerire a Cesare come comportarsi. Il
comportamento di Cicerone, che molti considerano ipocrita, può essere
interpretato anche come un abbandonarsi alla gioia per il vedere il proprio
ideale di stato sul punto di realizzarsi. Quella di Cicerone è però soltanto
un’ illusione, perché è vero che Cesare restituisce auctoritas al senato, ma nello stesso tempo vi inserisce i suoi
fedelissimi, togliendo quindi potere effettivo.
Nella “Pro Ligario” vediamo invece
un minor entusiasmo di Cicerone, dovuto al fatto che egli vede che la sua
influenza su Cesare non è grande come aveva ritenuto. Infatti se Cesare in un
primo momento aveva accettato la richiesta del rientro in patria di Ligario,
dopo l’accusa di Tuberone, è indisposto nei confronti dell’esiliato. Avendo
accettato la causa di Tuberone, il dittatore ha respinto la tesi di Cicerone dell’
error humanus, secondo la quale le
fazioni di cesariani e pompeiani erano sullo stesso piano, entrambe volevano il
bene dello Stato, e Cesare avrebbe vinto grazie all’aiuto divino che pervadeva
la sua causa, quindi i seguaci di Pompeo si sarebbero uniti a lui per un errore
dovuto alla natura fallibile dell’uomo. L’oratore quindi rimarca questa tesi,
oltre a quella dello stato come bene comune a cui bisogna sottomettere i propri
interessi e nel farlo usa Ligario come paradigma; egli infatti è andato in
Africa sotto ordine del senato e lì è rimasto, nonostante volesseritornare in patria, per
attaccamento al suo officium.
Solo in seguito Ligario sarebbe passato nella fazione dei pompeiani a causa di
quell’ error compiuto da tutti i
compagni.
Il novum crimen [17].di
Ligario non è nuovo in sé stesso, ma è un termine ironico che Cicerone usa per
mostrare la novità di un processo legale assoggettato ad una giustizia non
imparziale.
“Si in tanta tua fortuna lenitas tanta non
esset, quam tu per te, per te, inquam, obtines…acerbissimo luctu redendaret
ista victoria.”[18].
Bibliografia:
- “Le
orazioni”, Cicerone, Utet ,1978, volume IV
- “Institutio
oratoria” , Quintiliano, Utet, 1978
-
“Rhetorica
ad Herennium”, Harvard University Press, 1954, London
-
“Orator”,
Cicerone
-
“Le
belles lettres”, Paris
- “Orazioni
cesariane”, Marco Tullio Cicerone, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1997
- “Novae
voces – Cicerone” , Marino Menghi, edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2007
- “Esperienze
di traduzione” , Melloni-Giardina, Zanichelli, 2006
Onorevole,
turpe, incerta e umile.