domenica 30 dicembre 2012

Vivi e lascia morire - Ian Fleming

Sono veramente poche le persone ce non hanno mai visto un film di James Bond (soprattutto adesso che fanno la pubblicità di "Skyfall" su qualunque canale a qualunque ora, trasmettono la canzone di Adele vita natural durante e Sky gli ha addirittura dedicato un canale per un mese!) e tutti abbiamo sentito parlare di lui.
Dopo aver visto il quindicesimo film (devo dire che non sono un' amante del genere, dopo un po' mi sembravano tutti uguali) mi sono basata su una regola ferrea che funziona quasi sempre: "Il libro è sempre meglio del film".
Così sono andata alla ricerca di uno qualunque dei suoi 12 (!!!!) libri. 
Che dire? E' sicuramente più realistico del film.
Premetto che Ian Fleming è stato veramente un'agente segreto inglese nella Seconda Guerra Mondiale, quindi sa di cosa parla. La storia è abbastanza lineare e abbastanza realistica, il nostro eroe non va in giro a sbandierare il suo nome ai quattro venti. La famosa frase "Bond, James Bond" gli avrebbe portato un pallottola in testa dopo averla pronunciata anche solo due volte. E per fortuna le donne non gli crollano ai piedi come se avessero le ossa fatte di gelatina. Un po' di dignità, signore! 

Breve storia di (quasi) tutto - Bill Bryson

Cosa sapete del mondo in cui viviamo? Certamente poco rispetto a tutto ciò che si può sapere.
Come è nato l' universo? Come siamo arrivati alle nostre conoscenze? Quali esperimenti sono stati compiuti e da chi? Tutte domande a cui troverete risposte interessanti in questo libro. Un sacco di informazioni curiose e scientifiche ma raccontate in maniera intrigante, che i libri di scienze non raccontano. O per lo meno, questa é l' intenzione dell'autore. "Il mio punto di partenza" scrive Bryson nella sua introduzione " è stato un libro di scienze che avevo alle elementari. Era un comunissimo libro scolastico degli anni cinquanta, logoro, poco amato e orribilmente voluminoso, ma aveva in copertina un'illusazione intrigante: un disegno in sezione che mostrava l' interno della Terra come se qualcuno ne avesse tagliato, con un grosso coltello, uno spicchio pari a un quarto della sua massa... Quella sera tutto eccitato mi portai il libro a casa e prima di cena cominciai a leggero dalla prima pagina, cosa che credo abbia spinto mia madre a posarmi una mano sulla fronte e a chiederai se stavo bene. Non ci crederete, ma non era affatto una lettura interessante. Anzi, non era nemmeno sempre comprensibile.  Prima di tutto non rispondeva a nessuna delle domande che il disegno poteva far balenare nella mente di un bambino ... Su questi e altri dettagli l'autore rimaneva stranamente silenzioso... Era come se volesse mantenere il segreto su tutte le cose interessanti rendendole incomprensibili. " 
In queste pagine si ripercorre la nascita dell'universo, della Terra, degli esseri viventi, dei dinosauri, dell'uomo. Vengono spiegati attraverso aneddoti divertenti i metodi usati dagli scienziati per scoprire determinate cose. Il mio preferito è questo: " In Francia, un chimico di nome Pilatre de Rozier verificò l'infiammabilità dell'idrogeno riempiendosene la bocca e soffiando su una fiamma viva (dimostrando così, in un colpo solo, che l'idrogeno è davvero un combustibile esplosivo  e che le sopracciglia non sono necessariamente un elemento permanente sul volto di una persona)."
A incuriosirmi è stata una citazione in quarta copertina "Mentre ero in volo sul Pacifico e guardavo pigramente dal finestrino l'oceano illuminato dalla luna, mi si presentò alla mante, con una forza piuttosto inquietante, la consapevolezza di non sapere nulla dell'unico pianeta sul quale mi sarebbe mai capitato di vivere." Se anche voi come me condividete questa frase e vi identificate in ciò che l'autore ha provato, questo è il libro che fa per voi, perché non si configura come un libro di scienze  o una rivista scientifica, ma vuole veramente spiegare con toni semplici tutti (o quasi) i nostri dubbi.

" La curiosità é una delle caratteristiche più certe e sicure di un intelletto attivo" diceva Samuel Johnson. Perciò siate curiosi!

giovedì 20 dicembre 2012

Ippolito - Euripide

IPPOLITO
Trama: Ippolito, figlio di Teseo, è un giovane che si dedica solo alla caccia e al culto diArtemide, dea della caccia, trascurando tutto ciò che riguarda le donne e la famiglia. Per tale motivo Afrodite, dea dell'amore, decide di punirlo suscitando in Fedra, seconda moglie di Teseo, una segreta passione per il giovane. La donna, non riuscendo più a trattenere dentro di sé il segreto, decide di confidarsi con la nutrice. Quest'ultima rivela l'amore di Fedra a Ippolito, tentando di aiutarla. Il giovane però esplode d'ira e Fedra, sentendosi umiliata e ferita, decide di suicidarsi. Lascia però per vendetta un biglietto in cui accusa Ippolito di averla violentata.Quando Teseo scopre il cadavere della moglie, lancia una maledizione contro il figlio, che, non potendo raccontare la verità a causa del giuramento di silenzio fatto, lascia la città su un carro. Teseo invocando l'aiuto di Poseidone chiede vendetta e improvvisamente dal mare si erge un mostruoso toro che fa imbizzarrire i cavalli di Ippolito, facendo schiantare il carro contro le rocce. In punto di morte Ippolito viene riportato in città, dove nel frattempo è comparsa Artemide a narrare lo svolgimento reale dei fatti a Teseo. Il padre dunque chiede (e ottiene) il perdono del figlio morente.
Analisi dei personaggi principali:
Anche Fedra, come Medea, ha un animo combattuto tra due diversi sentimenti: il desiderio verso Ippolito suscitato da Afrodite e la fedeltà nei confronti della famiglia. Il desiderio è però più forte, Fedra infatti non può sottrarsene senza soccombere.
Ippolito è la causa scatenante della tragedia, la sua ὕβρις a non sottostare alle leggi della natura e il vanto della sua verginità portano l'ira di Afrodite. Infatti Ippolito disdegna la dea non desiderando entrare nella vita adulta, non sposandosi e non procreando.
Azioni e conseguenze sulla stirpe:
Figlia di Minosse e Pasifae, la sua famiglia è macchiata dell'onta della bestialità, quando la madre, travestitasi da giumenta, intrattiene una relazione sessuale con un toro e dà alla luce il Minotauro. Tragica sorte sarà riservata a tutta la sua famiglia.
Ruolo dell'opinione pubblica: 
L'opinione pubblica gioca un ruolo fondamentale in questa tragedia. Infatti è per preservare il proprio onore che Fedra si suicida. Qui si è notata anche la misoginia euripidea nella parte di dialogo in cui Ippolito denigra tutte le donne, rivelando il pensiero dell' epoca. Personalmente preferirei vedere solo Ippolito come misogino, le figure femminili in Euripide hanno molto peso e sono personaggi forti e ben strutturati, non tali da poter essere frutto di odio per il genere femminile.
Tematica: L' incesto
La storia di Fedra si configura come un archetipo che percorre tutta la letteratura, infatti il topos della seduttrice incestuosa e calunniatrice si ritrova nel corso dei secoli e delle civiltà.
Fedra presenta una sorta di edipismo rovesciato; il desiderio incestuoso non segue la linea vettoriale a doppio senso figlio-genitore, ma è a senso unico dal genitore al figlio. L'amore per Ippolito viene considerato alla stregua di una malattia, anzi è una follia, un dato di fatto, ineliminabile e allo stesso tempo non perseguibile, tanto che questa è convinta che la sua passione possa essere distrutta solamente distruggendo se stessa. In lei nasce un contrasto tra senso del dovere e desiderio incontrastabile. A vincere è il senso del dovere e per non disonorare se stessa e la sua famiglia, compirà il gesto estremo. La sua innocenza sarebbe evidente a chiunque, anzi sarebbe presa come esempio, come una novella Lucrezia romana, non fosse per altro che per la lettera che la donna lascia accusando con un ultimo gesto il figliastro.

sabato 8 dicembre 2012

Dissertazioni filosofiche all'una di notte

Oggi a scuola abbiamo parlato del "Dizionario filosofico" di Voltaire e analizzando alcune voci abbiamo anche speso qualche parola sulla morale etica universale, se esista o meno. Dato che non ho mai trovato ore più opportune di quelle notturne per lasciare libero sfogo ai pensieri e parlare di temi filosofici come vita, morte e anima, mi dedico a scrivere a quest'ora (anche se la pubblicazione sarà posteriore).
 Abbiamo anche detto oggi che Voltaire sosteneva che Dio fosse una necessità sociale perché é sui comandamenti divini che noi basiamo la nostra etica (non uccidere, non rubare, etc...) e che quindi una società di atei sarebbe degenerata perché non fondata su principi morali (tanto per fare una citazione : "uccidilo, perché se Dio non esiste tutto é permesso" dai fratelli Karamazov di Dostoevskij).
Ora io non sono d'accordo sul fatto che una società di atei sarebbe degenerata perché sono convinta che l'etica morale interna a ogni uomo non sia dettata da un Dio, ma sia creata dall'uomo e poi messa in bocca al Dio stesso. Non sono neanche d'accorado con il fatto che esista una morale etica universale, perché così come gli usi e i costumi cambiano da una società all'altra, così cambieranno anche i valori di una società e di un popolo. Siamo tutti d'accordo, penso, che l'omicidio sia un crimine grave che va contro ogni morale, eppure in America è ancora in vigore la pena di morte. A prescindere dalla nostra posizione morale in questo campo, sia che tifiate per Beccaria, sia che tifiate per gli americani, vedrete che non esiste un' etica universale tanto che anche il più ferreo dogma, se mi passate il termine, é messo in discussione. Allora come si decide ciò che è giusto e ciò che é sbagliato? Ma soprattutto come si definisce sbagliato? Ne deriva che etica é ciò che la mia coscienza mi dice che é giusto e ciò che non lo é. Quindi etica si indentifica con coscienza. Ma per uno psicopatico maniaco seriale é etico uccidere e stuprare, chi decide dunque che sia giusta la nota etica piuttosto che la sua? Prima alla domanda come si decide ciò che è giusto e ciò che è sbagliato stavo per rispondere che si decide in relazione all'altro, ma credo che sbaglierei se rispondessi così. Secondo me l'uomo é molto più vicino alla bestia di quanto non voglia ammettere. L'etica, ripeto: a mio parere, nasce dall'egoismo dell'uomo che decide di non fare all'altro ciò che non vorrebbe fosse fatto a lui e nella creazione del dogma "non uccidere" non si vede tanto come carnefice, quanto come vittima e si auto ammonisce: se non uccido nessuno, nessuno ucciderà me, se stringo un patto con l' umanità tutti saremo tenuti a rispettarlo e IO sarò salvo. L'etica si configura come strettamente egoistica e individualistica e io vedo non tanto in Hobbes e Locke quanto nell' etica la nascita del contrattualismo seppure in una forma inconscia e non sviluppata (meno male che non mi legge la mia prof di filosofia o le si drizzerebbero i capelli in testa!).
Per adesso le mie riflessioni notturne terminano, potete condividermi o pensare che stia dicendo un sacco di stupidaggini, ma é questo il bello della filosofia. Il bello é che tutti siamo filosofi almeno una volta e non c'é bisogno di aver studiato perché l'argomento di cui parliamo siamo noi. Il bello é che non esiste una verità assoluta (almeno secondo alcuni filosofi) e ognuno può dire la propria teoria e la propria versione e potrà si sentirsi dire di aver detto un sacco di cavolate, ma non saprà mai se siano davvero cavolate. La cosa più bella della filosofia é che é un argomento di cui non si smetterà mai di parlare e se si potesse trovare un'unica risposta forse non sarebbe così interessante.
Buonanotte miei amici filosofi...

venerdì 7 dicembre 2012

500!!!

Wow! Sono stupita... 500 visualizzazioni! Chissà che non finiate sul mio blog cercando la soluzione per rimediare alle bruciature del ferro da stiro!

Grazie.

Il Decamerone di Giovanni Boccaccio - Aldo Busi

Leggere un classico è sempre difficile. Marc Twain diceva che "i classici sono quei libri che tutti vorrebbero aver letto ma che nessuno ha mai voglia di leggere." Riflettendoci é vero, quanti libri che possiamo chiamare classici non abbiamo mai avuto la voglia di leggere? Io potrei citarvene un sacco da "Moby Dick" a "Delitto e Castigo" (non mi uccidano gli appassionati!)
Un classico, soprattutto quelli in italiano antico, ha a volte un linguaggio pesante e noioso che impedisce una lettura gradevole. É per questo che oggi vi propongo questo libro, scritto con una prosa fluida e divertente che vi strapperà più di un sorriso.
Come Oscar Wilde una volta disse: "le traduzioni sono come le mogli, brutte e fedeli oppure belle e infedeli." In pieno stile boccaccesco, questa é decisamente una moglie infedele, infedele tanto quanto le mogli del Decameron.
Le noiose novelle difficili da capire che abbiamo studiato a scuola ci vengono raccontate terra terra, con un linguaggio moderno... Dal taglio di capelli punk del re barbiere Agilulfo, alla trasferta calcistica di Caterina e il suo "usignolo" ( vedete voi se non capite il doppio senso dell' uccellino).
Leggere per ridere....

domenica 25 novembre 2012

Immortals (ovvero "piccola lezione di mitologia")

"Immortals" (2011)
Regia di: Tarsem Singh Dhandwar
Con Henry Cavill (Teseo), Mickey Rourke (Re Iperione), Freida Pinto (Fedra).

Da brava classicista quale sono non posso che rimanere a bocca aperta dopo aver visto un film del genere. Ma NO! Ma cosa?! Ma siamo impazziti?! 
Partiamo dalla trama, altrimenti se non avete visto il film, non riuscirete a capire:
"Gli dei rinchiudono i titani nel monte Tartaro. Iperione, re di Iraklion, nel 1228 a.C. dopo aver pregato che gli dei salvino la sua famiglia (cosa che non accade) decide di vendicarsi cercando l'arco di Epiro, un magico arco che sarebbe in grado di liberare i titani dalla loro prigionia. La sibilla è l'unica a conoscere dove sia situato questo fantastico arco e Iperione le dà la caccia. Nel frattempo però Teseo, un contadino bastardo figlio di uno stupro, dopo aver visto la madre assassinata da Iperione, viene preso prigioniero da quest'ultimo. Riuscirà a scappare con l'aiuto della sibilla, Fedra, dalla quale avrà poi un figlio. Teseo trova l'arco, ma gli viene sottratto da Iperione. Intanto sull'Olimpo, Zeus ordina agli dei di non intervenire nella guerra, pena la morte. Teseo cerca di fermare Iperione, ma questi riesce a liberare i titani. Ecco che gli dei, Zeus, Atena, Poseidone, Eracle e Apollo (Ares era già stato ucciso per essere intervenuto a favore degli umani). Mentre combattono i 250 miliardi di titani che escono dalla prigionia, gli dei periscono tutti tranne Zeus. Teseo e Iperione intanto stanno combattendo e Teseo sembra avere la peggio, ma in punto di morte riesce a uccidere il re. Dopo aver fatto franare il monte Tartaro, Zeus con il corpo della morente Atena in braccio torna sull' Olimpo, portando con se anche Teseo. Dopo alcuni anni, vediamo Zeus, sotto forma di vecchio, predire un grande futuro ad Acamante, il figlio di Teseo e Fedra."
Detto questo, mi sono dovuta trattenere dal mettere svariati punti interrogativi ovunque.
Non saprei proprio da dove partire, perciò direi di cominciare dalla base. GLI DEI NON MUOIONO! Così come non muoiono i titani. Se i titani potessero morire non avrebbe avuto senso rinchiuderli nel Tartaro, sarebbe bastato trucidarli alla loro sconfitta. 
Detto questo, sono comunque sconcertata dalla marea di errori di questo film.  
Nel film ci sono molti richiami al Minotauro e al mito del del labirinto, perciò mi sembra doveroso raccontarlo. Minosse (non Iperione) era il re di Cnosso (non di Iraklion, che è la attuale capitale di Creta, ma ho qualche dubbio che all'epoca esistesse) sposato con Pasifae. Minosse chiese un giorno a Poseidone un bellissimo toro per poterglielo sacrificare e Poseidone glielo inviò. Il toro era però così bello che a Minosse dispiacque sacrificarlo e non lo fece. Adirato Poseidone chiese ad Afrodite che facesse innamorare Pasifae del toro. La donna, travestitasi da giumenta, riuscì a procreare il Minotauro, che fu rinchiuso nel labirinto ideato da Dedalo. Minosse e Pasifae avevano altre due figlie però, Arianna e Fedra (che NON era una sibilla!!!). Il mito del Minotauro non è solo un mito, vuole anche mostrare la situazione storica dell'epoca: quando i Micenei avevano il dominio del mare (thalassocrazia), avevano anche il potere di tassare Atene, con la fioritura militare di Atene (personificata da Teseo) la società minoica fu subordinata. Dunque Atene, il cui re era Egeo, era tassata da Cnosso, che chiedeva ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle. Teseo (che NON è un povero contadino bastardo, ma il figlio del re di Atene!!!) decise per il bene della sua città di partire per uccidere il Minotauro. Giunto a Creta, Arianna si innamorò di lui e gli diede un gomitolo con il quale poter uscire dal labirinto. Teseo uccise il Minotauro e prese con sé Arianna. Invece di sposarla però, la abbandonò su un' isola sperduta, Nasso (da qui il termine "piantare in (n)asso"), dove poi la raggiunse Bacco che, dopo averla abbandonata anche lui, la fece diventare una costellazione ("Corona boreale"). Teseo tornò ad Atene dove, divento re (il padre, avendolo creduto morto si era gettato in mare da una rupe, da qui "mar Egeo"), sposò la sorella di Arianna, Fedra. Teseo e Fedra hanno due figli, Acamante e Demofonte (che nel film è scomparso). Teseo aveva avuto un figlio, Ippolito, dalla regina delle Amazzoni, Ippolita. A causa della tracotanza di quest'ultimo, Afrodite fece innamorare di lui Fedra, la matrigna. Dopo avergli rivelato il suo amore e avere scoperto di non essere contraccambiata, Fedra si suicida gettando la colpa su Ippolito che l'avrebbe stuprata. Teseo allora chiede l'aiuto di Poseidone che lo fa travolgere dai suoi stessi cavalli, mentre sta andando in esilio.
NON è attestato in nessun mito che Teseo sia entrato a far parte della cerchia degli dei nell'Olimpo.
Gli dei NON sono cinque o sei come mostrano, tra i più famosi dimenticati annoveriamo: Afrodite, Era, Efesto, Dioniso, Ade, Hermes, Artemide,Demetra, Persefone, senza parlare di quelle che sono considerate come divinità secondarie nel pantheon, come le Muse, le Erinni, Tiche, Zefiro, etc...
I titani NON sono miliardi, ma solo dodici, sei maschi (Oceano, Ceo, Giapeto, Crio, Crono e IPERIONE!!!!) e sei femmine (Teia, Rea, Mnemosine, Febe, Teti e Temi).
Infine, l' "Iliade" attesta che gli dei possono essere feriti ma non uccisi e che sono soliti intervenire nelle questioni umane. (L'unico momento in cui Zeus proibisce l'intervento divino in favore degli uomini è nel caso di Prometeo, che non viene ucciso <chissà come mai?!?> ma incatenato ad una montagna con un aquila che ogni giorno gli mangia il fegato che ricresce di notte.)

venerdì 23 novembre 2012

Medea - Euripide

Sempre per quello che riguarda i classici, voglio proporvi tre tragedie greche abbastanza famose: Medea, Antigone e Fedra. Sono anche esse vecchie relazioni, sempre al 50% con l'amica della Pro Ligario. Originariamente questa relazione nasce come confronto tra le tre, io però preferisco separarvele, partendo della tragedia che più mi è piaciuta in assoluto: Medea. Non sprecherò parole nel dirvi quanto mi sia piaciuto, vi lascerò solamente leggere.

MEDEA
Trama: Dopo aver aiutato Giasone a conquistare il vello d'oro, Medea si trasferisce a Corinto insieme al marito e ai due figli. Dopo alcuni anni però Giasone decide di ripudiarla per sposare la figlia di Creonte, re di Corinto. Creonte allora spaventato dalla disperazione di Medea e sospettando una possibile vendetta, le ordina di lasciare la città. Medea però ottiene di restare in città ancora un giorno così da attuare la propria vendetta. Fingendosi rassegnata manda in dono a Creusa, figlia di Creonte e futura sposa di Giasone, una ghirlanda e una veste avvelenate. La ragazza indossatele muore tra atroci tormenti e la stessa sorte tocca a Creonte, accorso per aiutarla. A quel punto Giasone accorre per salvare almeno i suoi figli, ma appare Medea sul carro alato del dio Sole, che gli mostra i cadaveri dei figli che lei ha ucciso, così da privare il marito di una discendenza. Nel finale la donna vola verso Atene lasciando il marito a maledirla.
Etimologia: Il nome di Medea deriva dal verbo greco "μεδομαι" cioè "escogitare, macchinare, fare artifici" ed è il preludio alla complessità della vendetta della donna.
Analisi dei personaggi principale:
La figura di Medea presenta molteplici sfaccettature. Può essere vista come famosa e vendicativa, come vittima di sentimenti interni incontrollabili e contrastati, o anche come moglie addolorata per l'abbandono del marito. La complessità della psiche di questa si trova nel contrasto tra razionalità e passione  che la rende debole e forte allo stesso tempo. E' debole perchè intenzionata a distruggere il suo passato e tutto ciò che lo rappresenta, forte perchè padrona della sua vita e non disposta a piegarsi al volere altrui. I sentimenti contrastanti sono evidenti nel momento in cui Medea è combattuta tra il desiderio di vendicarsi di Giasone uccidendo i figli e il senso di maternità risparmiandoli.
La figura di Giasone assume connotati negativi; egli è egoista, presuntuoso e meschino. E' egoista perchè non esita per sete di potere a ripudiare una donna che per lui aveva rinunciate alla sua famiglia. E' presuntuoso perchè crede si essere molto abile nell'arte oratoria. E' meschino perchè con essa cerca di giustificare il tradimento.
Azioni e conseguenze sulla stirpe:
Il caso più eclatante in cui le azioni di un personaggio ricadono sul γενος, la stirpe, è quello di Medea. La sua vendetta infatti porta la morte dei figli.
Ruolo dell' opinione pubblica:
L'opinione pubblica in Medea è un continuo stimolo a proseguire nei suoi propositi. Preferisce infatti essere infanticida piuttosto che essere oggetto di scherno a causa del tradimento.
Tematiche: La straniera.
Medea è nello stesso tempo sia una donna che una straniera e quindi duplicemente esclusa dalla società. Nonostante sia lei la barbara è il personaggio che denota più razionalità, poichè contrappone alla superficialità e all'inconsistenza dell' oratoria di Giasone la sua logica. In Euripide Medea diviene emblema del rifiuto dei valori della società greca. Per quest'ultima Medea, come donna, non esiste: la donna infatti era figlia, poi moglie e madre, mai semplicemente una donna. Viveva nel gineceo ed era soggetta all' "auctoritas" del "pater familias". Oltre ad essere donna, Medea è anche una straniera, e, come tutti gli stranieri, esclusa dalla società.

giovedì 15 novembre 2012

400





400 visualizzazioni... sono soddisfazioni anche se ci siete capitati per caso!




mercoledì 14 novembre 2012

Pro Ligario - Marco Tullio Cicerone


Per i classici fare una recensione decente è difficile. Dire qualcosa che non è stato ancora detto è difficile, d'altro canto  se devo essere superficiale, tanto vale che non scriva. Così vi propongo la mia relazione sulla Pro Ligario, per dire tutto quello bisogna dire... Per correttezza vi dirò che non è tutta farina del mio sacco, 50 e 50 con una mia amica.
“Homines enim ad deos nulla re propius accedunt quam salutem hominibus dando.”[1]
Un esempio di oratoria salvifica
La “Pro Ligario” è un’ orazione di difesa composta da Marco Tullio Cicerone nel novembre del 46 per il processo di Quinto Ligario. La causa vedeva alla difesa Cicerone e all’accusa Quinto Elio Tuberone. Al posto dei comizi centuriati o del tribunale permanente, come giudice, vediamo Gaio Giulio Cesare, appena diventato dittatore e quindi con poteri plenari, compreso quello giudiziario, che acconsentì allo svolgimento del processo nonostante non fosse consentito per accuse di tal genere (Tuberone, accusando Ligario di alto tradimento, ne chiedeva infatti la pena di morte) essendo assente l’imputato, esiliato in Africa.
Finora abbiamo trattato della causa per la quale si svolse quest’orazione, ma che cos’è un’orazione?
“Oratoris officium est de iis rebus posse dicere quae res ad usum civilem moribus et legibus constitutae sunt, cum adsensione auditorum quoad eius fieri poterit.”[2]
L’oratoria a Roma arrivò dalla Grecia, con l’apertura di scuole di retorica, e si sviluppò come strumento di confronto politico e fu, in un primo tempo, strettamente legata ai discorsi tenuti in senato o durante i cortei funebri. Con le istituzioni dei tribunali permanenti nel II secolo a.C. si sviluppò l’oratoria giudiziaria. L’oratoria fondava la base della formazione del giovane cittadino romano che doveva essere ispirato ad un conservatorismo politico umanizzato e non freddamente impersonale. Successivamente l’oratoria divenne un fenomeno letterario e possiamo enumerare svariate pubblicazioni oltre che manuali di retorica, in cui vengono approfonditi i generi delle cause giudiziarie, i modi in cui trattarli, gli stili da usare, le maniere per accattivarsi il pubblico e le cinque operazioni fondamentali della tecnica retorica.
Queste sono: inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio.
Per inventio si intende il reperimento degli argomenti su cui si basa il discorso, mentre la dispositivo è la collocazione di questi argomenti secondo un preciso ordine. L’elocutio è l’elaborazione formale e stilistica del discorso, invece le tecniche di apprendimento mnemonico sono chiamate memoria, infine l’actio consiste nella messa in scena del discorso da parte dell’oratore, con l’ausilio della gestualità e della adeguata dizione.
Un’ orazione, per essere chiamata tale, deve poter essere divisa in: exordium, narratio, argumentatio (costituito da confirmatio e confutatio) e peroratio.
“Novum crimen, Gai Caesar, et ante hanc diem non auditum propinquus meus ad te Quintus Tubero detulit, Quintum Ligarium in Africa fuisse ” [3]
E’ questo l’ exordium della “Pro Ligario”, cioè la parte introduttiva in cui l’oratore si preoccupa di suscitare l’attenzione dell’uditorio. L’exordium presenta un’ alta componente psicologica ed è la parte più delicata del discorso. Gli exordia possono essere di due tipi: diretto o indiretto. L’exordium diretto “si ha quando ci rendiamo immediatamente propizio all’ascolto l’animo dell’uditorio”[4] mentre quello indiretto si ha quando si parla brevemente dell’argomento trattatocercando di rendere il pubblico propizio mediante la dissimulazione degli intenti. In alcune cause gli oratori possono decidere di non avvalersi dell’exordium e in sua vece citare una legge
favorevole. Bisogna che  l’oratore curi in maniera particolare l’esordio perché sbagliandolo diviene inefficace se non controproducente. E’ necessario che l’exordium sia scelto in base alla tipologia della causa da trattare, che può essere honestus, turpe, dubium e humile.[5]
Una causa si definisce onorevole “cum aut defendimus quod ad omnibus defendendum videtur, aut oppugnabimus quod ad omnibus videtur oppugnari debere.”[6] mentre si definisce turpe “cum aut honesta res oppugnatur aut defenditur turpis.”[7]. E’ incerta una causa “cum habet in se causa et honestatis et turpitudinis partem”[8] invece è umile “cum comtrempta res adfertur.”[9]
Il processo a Ligario è una causa considerata turpe e per questo vediamo che Cicerone usa un exordium indiretto e pone l’accento sull’accusatore che non solo presenta in tribunale un’accusa nuova e mai sentita, ma lui stesso se ne è macchiato.
Gli argomenti dell’ esordio possono essere quattro: l’avversario, come fa Cicerone, l’oratore, gli ascoltatori oppure i fatti.
L’oratore partendo dall’avversario dovrebbe attirare su di lui odio, disprezzo e invidia, mentre dovrebbe lodare le proprie azioni senza arroganza e ricordare la passata condotta per ottenere la benevolenza dell’uditorio. Se invece cominciasse dagli ascoltatori dovrebbe rimarcarne saggezza e nobiltà, se dai fatti dovrebbe lodare la propria causa gettando discredito su quella dell’avversario. 
“Quintus enim Ligarius, cum esset nulla belli suspicio, legatus in Africam C. Considium profectus est… Bellum subito exarsit quod qui erant in Africa ante audierunt geri quam parari… Interim P.Attiu Varus qui praetor Africam obtinuerat, Uticam venit… adripuit imperium… Itaque Ligarius qui omne tale negotium fugeret, paulum adeventu Vari conquievit .”[10]
Questi sono brevi estratti della narratio, che consiste in una breve esposizione di fatti e antefatti, dove vediamo ripercorsi i passi di Ligario in Africa, che inviato lì come luogotenente di Considio, alla morte di questo, ne viene messo a capo per volere delle province, lui che non desiderava questo incarico. Infatti, all’arrivo del pretore Varo, gli cede il comando, riuscendo ad ottenere un po’ di tranquillità.
A questo punto Cicerone passa all’argumentatio.
“ Adhuc, Gai Caesar, Quintus Ligarius omni cupla vacat… profectio voluntatem habuit non turpem, remansio necessitatem etiam honestam…quod post adventum Vari in Africa restitit, si est criminosum, necessitatis crimen est, non voluntatis…Vide quam non reformidem, quanta lux liberalitatis et sapientiae tuae mihi apud te dicenti oboriatur…”[11]
L’argomentatio è la dimostrazione della propria tesi (confirmatio) e la successiva demolizione della tesi avversaria (confutatio).

Nei passi riportati vediamo la confirmatio, nella quale Cicerone afferma che la colpa di Ligario è involontaria. Sarebbe infatti partito per necessità e per altrettanta necessità sarebbe stato messo a capo dell’Africa e sarebbe rimasto dopo l’arrivo di Varo. Ligario infatti avrebbe preferito tornare a Roma dalla sua famiglia invece di rimanere da solo a Utica, non è mai stato ostile a Cesare ma si è trovato per necessità nello schieramento opposto.

Cicerone fa anche leva sulla generosità e sulla humanitas di Cesare, al quale rivolge una degna captatio benevolentiae.
“Nempe is qui et ipse in eadem provincia esse voluit et prohibitum se a Ligario queritur, et certe contra ipsum Casarem est congressus armatus. Quid enim tuus ille, Tubero, destrictus in acie Pharsalica gladius agebat?...Arguis fatentem. …accusas eum qui causam habet aut (…) meliorem quam tu, aut (…) parem. …non habet eam vim ista accusatio ut Quintus Ligarius condemnetur, sed ut necetur…  externi sunt isti mores…Non tu hunc ergo patria privare, quo caret, sed vita vis…<<Cave ignoscas!>>Haec nec hominis nec ad hominem vox est; qua qui apud te, Gai Caesar, utetur, sua citius abiciet humanitatem quam extorquebit tuam.”[12]

La confutatio copre un maggior numero di capitoli della confirmatio per la tipologia del processo , che è turpe e non può trovare molti argomenti a favore. Di conseguenza l’oratore si dedica a demolire davanti al giudice la figura e le parole dell’accusatore.
Tuberone accusa Ligario per vendetta, quello infatti gli impedì lo sbarco in Africa, e Cicerone rimarca su questo fatto mettendo in risalto l’appartenenza dell’accusatore alla stessa fazione dell’accusato. Tuberone, pompeiano, ha combattuto contro Cesare a Farsalo e successivamente ha ottenuto il perdono del dittatore. Cicerone, retoricamente, si chiede come Tuberone possa accusare qualcun altro del suo stesso crimine dopo essere stato salvato. Cicerone afferma quindi che l’accusatore non vuole una giusta punizione, ma la morte di Ligario e quindi esorta Cesare a non ascoltare Tuberone in quanto le sue parole sarebbero bestiali e non degne di un essere umano.
“An potest quisquam dubitare quin, si Quintus Ligarius in Italia esse potuisset, in eadem sententiam futurus fuerit in qua fratres fuerunt?... Sed ierit ad bellum, dissenserit non a te solum, verum etiam a frati bus; hi te orant tui. ...tantum te admonebo, si illi absenti salutem dederis, praesentibus te his daturum.”[13]
L’ultima parte di un’orazione è la peroratio, cioè il riepilogo dei fatti e dei principali argomenti a favore della propria tesi. In questa peroratio vediamo l’uso da parte di Cicerone della deprecatio,
cioè una tecnica che “utemur cum fatebimur nos peccasse, neque id inprudentes aut fortuito aut necessario fecisse dicemus, et tamen ignosci nobis postulabimus.”[14]. L’uso di questa tecnica è dovuto alla natura della causa, che essendo turpe e riconosciuta, non può trovare giustificazioni.
Inoltre l’oratore pone l’accento sulla humanitas del giudice e sugli affetti dell’esiliato e dei suoi fratelli che preferirebbero essere in esilio con lui, piuttosto che a Roma da soli. Cicerone ribadisce quindi che il giudice non deciderà solamente del destino di Quinto Ligario, ma di quello di tutti i tre fratelli.
CONCLUSIONE: Cesare che inizialmente aveva concesso il ritorno in patria di Ligario, alla accusa di Tuberone è già deciso per la condanna a morte. L’orazione di Cicerone però riesce a tentarlo e alla fine Cesare grazierà Ligario.
La sua decisione gli si ritorcerà contro: Ligario sarà uno dei congiurati che alle Idi di marzo del 44  accoltellerà Cesare all’entrata del senato.
Le orazioni cesariane: PRO LIGARIO e PRO MARCELLO  a confronto
Le orazioni cosiddette “cesariane” sono tre: “Pro Marcello”, “Pro Ligario” e “Pro rege Deiotaro”.
La “Pro Marcello” in realtà non è un’orazione difensiva ma una gratiarum actio, cioè un’ orazione di ringraziamento per Cesare, che ha perdonato pubblicamente il suo antico avversario e gli ha concesso il ritorno in patria.[15]. Marcello era un esponente della nobiltà senatoria e uno dei più forti oppositori di Cesare, anche prima dello scoppio della guerra civile. Dopo la battaglia di Farsalo, Marcello si ritirò in esilio volontario a Mitilene, sdegnandosi di chiedere il perdono di Cesare e fu solo su insistenza di Cicerone, vecchio amico e compagno di studi, e del fratello Gaio, che si risolse a chiedere il ritorno a Roma. Cesare che vedeva in Marcello un punto di riferimento per i pompeiani attivi e un nuovo Catone, non volendo renderlo un martire, gli concesse la grazia.
L’orazione di Cicerone è una lode a Cesare, di cui viene esaltata la clementia, la mansuetudo, il modus, la sapientia, la iustitia, la lenitas e l’aequitas, la liberalitas e la misericordia. Queste virtù non devono essere circoscritte alla vita politica, ma estese anche alla vita civile, e devono essere possedute da colui che ha responsabilità politiche. Cesare è considerato da Cicerone una persona eccezionale, quasi divina, perché le possiede entrambe ed è quindi il solo a poter ricostruire la res publica. Cesare infatti concedendo il perdono a Marcello non gli permette solo di ritornare in patria, ma lo reintegra nei suoi diritti civili e politici, restituendo anche l’auctoritas al senato. L’idea di res publica di Cicerone era di uno stato come bene comune a cui tutti assoggettassero l’interesse individuale e quindi si illude che Cesare possa portare una condizione dove dittatore e senato collaborino. Quest’ultima convinzione viene alimentata dalla clementia del giudice, che non si impone sui vinti, ma ricerca la pace, smentendo la condizione stessa della guerra.
L’oratore infatti privilegia la gloria civile a quella militare e in questa orazione tenta di suggerire a Cesare come comportarsi. Il comportamento di Cicerone, che molti considerano ipocrita, può essere interpretato anche come un abbandonarsi alla gioia per il vedere il proprio ideale di stato sul punto di realizzarsi. Quella di Cicerone è però soltanto un’ illusione, perché è vero che Cesare restituisce auctoritas al senato, ma nello stesso tempo vi inserisce i suoi fedelissimi, togliendo quindi potere effettivo.
Nella “Pro Ligario” vediamo invece un minor entusiasmo di Cicerone, dovuto al fatto che egli vede che la sua influenza su Cesare non è grande come aveva ritenuto. Infatti se Cesare in un primo momento aveva accettato la richiesta del rientro in patria di Ligario, dopo l’accusa di Tuberone, è indisposto nei confronti dell’esiliato. Avendo accettato la causa di Tuberone, il dittatore ha respinto la tesi di Cicerone dell’ error humanus, secondo la quale le fazioni di cesariani e pompeiani erano sullo stesso piano, entrambe volevano il bene dello Stato, e Cesare avrebbe vinto grazie all’aiuto divino che pervadeva la sua causa, quindi i seguaci di Pompeo si sarebbero uniti a lui per un errore dovuto alla natura fallibile dell’uomo. L’oratore quindi rimarca questa tesi, oltre a quella dello stato come bene comune a cui bisogna sottomettere i propri interessi e nel farlo usa Ligario come paradigma; egli infatti è andato in Africa sotto ordine del senato e lì è rimasto, nonostante volesseritornare in patria, per attaccamento al suo officium[16]. Solo in seguito Ligario sarebbe passato nella fazione dei pompeiani a causa di quell’ error compiuto da tutti i compagni.

Il novum crimen [17].di Ligario non è nuovo in sé stesso, ma è un termine ironico che Cicerone usa per mostrare la novità di un processo legale assoggettato ad una giustizia non imparziale.
“Si in tanta tua fortuna lenitas tanta non esset, quam tu per te, per te, inquam, obtines…acerbissimo luctu redendaret ista victoria.”[18].

Bibliografia:
-       “Le orazioni”, Cicerone, Utet ,1978, volume IV
-       “Institutio oratoria” , Quintiliano, Utet, 1978
-       “Rhetorica ad Herennium”, Harvard University Press, 1954, London
-       “Orator”, Cicerone
-       “Le belles lettres”, Paris
-       “Orazioni cesariane”, Marco Tullio Cicerone, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1997
-       “Novae voces – Cicerone” , Marino Menghi, edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2007
-       “Esperienze di traduzione” , Melloni-Giardina, Zanichelli, 2006





[1] “Gli uomini infatti non sono più vicini agli dei in nessuna altra azione che concedendo la salvezza ad altri uomini.” Pro Lig., XII, 23.
[2] “Il dovere di un oratore è di discutere abilmente riguardo agli argomenti che le usanze e le leggi costituito per l’uso civile, per assicurarsi il più possibile l’assenso del suo uditorio.”
Rhetorica ad Herennium, I.I, I-II
[3] “O Cesare, Quinto Tuberone, mio parente, ha sporto contro di te un nuova accusa mai udita prima di questo giorno, che Quinto Ligario è stato in Africa…”
Pro Lig., I, 1.
[4] Rhetorica ad Herennium I, 6 
[5] Onorevole, turpe, incerta e umile.
[6] “…quando difendiamo ciò che a tutti sembra essere degno di difesa, o quando accusiamo ciò che a tutti pare doversi accusare.”  Rhetorica ad Herennium I, 7-11
[7] “…quando un’azione onorevole viene accusata o una disonorevole viene difesa” Rhetorica ad Herennium I, 7-11
[8] “…quando è parte onorevole, parte turpe”  Rhetorica ad Herennium I, 7-11
[9] “…quando la materia di cui si tratta è considerata di poca importanza” Rhetorica ad Herennium I, 7-11
[10] “ Infatti Quinto Ligario non essendoci alcun sospetto di guerra fu mandato in Africa come luogotenente di Gaio Considio…. La guerra divampò all’improvviso e coloro che si trovavano in Africa udirono i combattimenti prima che i preparativi… Intanto Publio A. Varo che aveva ottenuto l’Africa come pretore giunse ad Utica… afferrò il potere… Perciò Ligario che fuggiva da ogni situazione tale, con l’arrivo di Varo ottenne un po’ di tranquillità.”
Pro Ligario, II, 2-3
[11] “Fino ad ora, o Gaio Cesare, Quinto Ligario è esente da ogni colpa…la partenza ha avuto una volontà non offensiva, il suo essere rimasto una necessità addirittura onorevole…per il fatto che è rimasto in Africa dopo l’arrivo di Varo, se è degno di imputazione, si tratta di una imputazione dettata dalla necessità e non dalla volontà… Vedi come io non abbia paura, quanto sia grande la luce della tua generosità e saggezza che sorge in me mentre parlo davanti a te.”
Pro Ligario III, 4-6
[12] “Appunto colui che anche lui volle essere nella stessa provincia e si lamenta di essere stato tenuto lontano da Ligario e certamente si è scontrato in armi contro lo stesso Cesare. Che cosa infatti, o Tuberone, faceva quella tua spada sguainata nella battaglia a Farsalo…. Tu accusi un reo confesso…. Accusi colui che ha una causa o migliore della tua(…)o(…) uguale… questa accusa non ha una forza tale da far condannare Ligario, ma da farlo uccidere…questi costumi sono forestieri…non vuoi privare costui della patria, della quale è privo, ma della vita….<<Guardati dal perdonare!>> Ma questa parola né è di un uomo né per un uomo; ma colui che impiegherà questa parola presso di te, o Cesare, distruggerà la sua humanitas prima di queando eliminerà la tua.” Pro Ligario  IV, 9,16
[13] “Forse che qualcuno potrebbe dubitare che se Quinto Ligario avesse potuto rimanere in Italia, sarebbe stato dello stesso parere del quale furono i fratelli? … Ma ammettiamo pure che egli sia andato alla guerra, che abbia dissentito non solo da te ma anche dai fratelli; questi ti pregano. … ti ricorderò soltanto che se darai la salvezza a quello assente la concederai anche a questi presenti.” Pro Ligario XII; 34-38
[14] Usiamo la deprecatio quando confessiamo il crimine e diciamo che abbiamo fatto ciò sconsideratamente non in modo casuale né necessario, e poi chiediamo che ci sia perdonato. Rhetorica ad Herennium, II, XVI-XVII
[15] In realtà Marcello non rientrerà mai a Roma , ma sarà misteriosamente assassinato sulla via del ritorno.
[16] An ille si potuisset illinc ullo modo evadere, Uticae quam Romae, cum Publius Attio quam cum concordissimis fratribus, cum alienis esse quam cum suis maluisset?  “ E se quello avesse potuto evadere da lì in alcun modo, avrebbe preferito a Utica piuttosto che Roma, avrebbe preferito con Publio Azzio piuttosto che con i fratelli molto concordi, avrebbe preferito essere con altri piuttosto che con i suoi?” Pro Ligario, II, 5
[17] Usando la parola crimen e avvalendosi della tecnica della deprecatio Cicerone pone le azioni di Ligario sotto una luce negativa, senza che esse lo siano realmente, ma in  base ad una giustizia di parte.
[18] “Se nella tua tanta fortuna non ci fosse tanta mitezza, che tu conservi grazie a te, grazie a te dico… questa vittoria sarebbe piena di un durissimo dolore.” Pro Ligario V, 15

Film: Biancaneve e il cacciatore


"Biancaneve e il cacciatore" 2012
Regia di: Rupert Sanders
Con Kristen Stewart (Biancaneve), Chris Hemsworth (il cacciatore) e Charlize Theron (la regina cattiva).

Ero molto indecisa su come iniziare questa parte del blog, volevo iniziare con un film che mi fosse piaciuto veramente, ma a quanto pare la mia vena polemica esce fuori sempre. Ho visto al cinema questo film, se possiamo dargli questo appellativo. In sala quattro gatti e già questo doveva farmi capire che era meglio infilarsi da Spiderman, ma ormai avevo comprato il biglietto.
Tipico inizi da fiaba: la regina ha una bambina, la regina muore, il re è devastato.
1º battaglia epica contro cavalieri sconosciuti, troviamo una bellissima donna prigoniera, liberata dal re. La donna il giorno seguente sposa il re, ammaliato dalla sua bellezza, e la prima notte di nozze lo pugnala raccontando parte della sua storia personale che ci fa presupporre un' ampia caratterizzazzione dei personaggi. ( Supposizione sbagliata )
Bianca cara è rinchiusa in una torre per almeno una decina d' anni (passati tutti senza doccia a giudicare le condizioni in cui la troviamo il giorno del suo diciottesimo compleanno quando la regina scopre che toccando il suo cuore sarà giovane per sempre.)
Bianca scappa con l' ausilio di un chiodo che per dieci anni era stato lì, indisturbato.
E per la prima volta in dieci anni riesce a farsi una doccia (dentro una cascata, ma sempre una doccia è). Peccato che dopo dieci secondi netti finisca in una pozza di fango. Peccato. Nella fuga si addentra nella foresta oscura dove , non sappiamo per quali arcani motivi, i poteri della regia non funzionano. Così entra in gioco Thor (mi dipiace ma in due ore di film lo hanno chiamato solo "cacciatore", sono dovuta andare su wiki per scoprire che il personaggio si chiama Eric. E io per ripicca lo chiamo Thor), un vedovo uriacone il cui unico desiderio è riavere la moglie. Ingannato dalla regina, alla fine decide di andarsene con Bianca.
All' intervallo già stavo pensando di organizzare una colletta tra i quattro spettatori in sala per comprare al regista e allo sceneggiatore almeno sette nanetti da giardino in ceramica, ma poi mi sono dovuta ricredere. I nani ci sono, anche se secondo me sono perfettamente inutili.
A un certo punto ritroviamo anche l'amico d' infanzia di Bianca, William, che sembra sia essere l'unico con un nome normale. (la regina si chiama Ravenna. Ci manca solo che abbia una sorella Riccione e l'altra Rimini e poi abbiamo fatto la riviera!)
Bianca la pura e candida sta andando a porsi a capo della resistenza quando si fermano in una innevata radura. Qui Bianca e Will rivivono i vecchi tempi e vediamo la palese attrazione tra i due quando lei lo bacia (e tu pensi : ma scusa, e il cacciatore? Non che mi stia simpatico, ma ...). Lui come ai vecchi tempi le porge una mela. (e qui ti sorge una domanda: capisco che siamo nelle favole ma lui a dicembre senza una serra a portata di mano, da dove l' ha tirata fuori una mela?) Lei la mangia e soffoca perchè... la matrigna ha deciso che era già vecchia abbastanza e ha cambiato travestimento. Thor si alza e non vedendo più Bianca va a cercarla con il vero Will.Insieme riescono a scacciare la regina prima che pugnali Bianca ma lei è già morta avvelenata e a nulla serve il bacio di Will.
Nelle rimembranze di Thor sulla moglie defunta che tanto assomigli a Bianca ci scappa u bacio e lei, tanto pura ed innocente (su questo si bsa l'incantesimo della regina) da aver già ucciso almeno sette persone, si pone a capo dell' esercito e marcia sul castello.
Ora io non vorrei cercare sempre il pelo nell' uovo o fare la romantica stucchevole, ma tutto il risveglio della principessa è basato sul vero amore in teoria. Dov'è il vero amore tra due di cui una fino a tre secondi prima di morire stava baciando un altro e uno che la bacia, e salva, solo perchè gli ricorda la moglie? E che ne è del "si sposarono e vissero tutti felici e contenti"?
Una cosa l'ho capita uscendo dal multisala: era meglio se andavo a vedere Spiderman.

Rinnovamento...

Pagine bruciate non può rimanere solo un blog letterario. Non può per il semplice fatto che limitarmi a scrivere di libri è appunto questo: limitare. Pagine bruciate rimane, ma non tratterà solo di libri.
I libri rimarranno certo l' argomento principale, ma non sarà l'unico. Cinema, musica, attualità, programmi tv, qualunque cosa... Spero vi piaccia! Buona lettura!

P.S.
i primi post sui film vengono dal mio secondo blog "Pellicole abbandonate" che sto per chiudere.

mercoledì 17 ottobre 2012

W. - Jennifer Lee Carrell

Personalmente ritengo le questioni su autori e opere molto irrilevanti.
Se Omero sia esistito o meno non mi interessa, Iliade ed Odissea ci sono. Così come non importa se sia stato Shakespeare a scrivere le sue opere o se sia stato solo uno pseudonimo. Trovo che sia inutile chiedersi se sia stato l' uomo nato a Stratford-Upon-Avon o il conte di Oxford o Francis Bacon o la regina Elisabetta o chiunque altro.
"Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo."
Tanto per citare il "Cigno dell'Avon".

Come facilmente intuibile dal titolo del libro e dal mio prologo, questo libro parla di Shakespeare.
"Shakespeare occulto". Occulto nel senso di nascosto.
L'identità del Bardo viene discussa solo in secondo piano, il tema centrale è il ritrovamento del "Cardenio", opera perduta. Kate è la giovane registra dell' "Amleto" al Globe, quando arriva Rosalind, detta "Roz", la mentore di Kate con cui aveva litigato a causa della sua tesi di laurea. Il giorno stesso "Roz" viene uccisa, come il padre di Amleto, potassio "veleno" iniettato in un orecchio. Sulle tracce di una spilla lasciatale da "Roz", Kate comincia la ricerca verso qualcosa che ancora non conosce, aiutata da sir Henry e da Ben Pearl, il nipote di Roz. Sulle tracce della spilla è anche un impietoso assassino che uccide come nelle tragedie shakesperiane, il padre di Amleto, Ophelia, Cesare. E vuole cambiare il nome della nostra protagonista in Lavinia, come nel Tito Andronico. Tra America e Inghilterra sulle tracce di un manoscritto perduto, Kate e Ben incontrano Mattew, docente esperto di Shakespeare nonchè ex-allievo i "Roz", e Athenaide, appassionata e collezionista. Ma se Athenaide e Mattew fossero accusati di essere gli assassini? E se Ben non fosse il nipote di "Roz", da quale motivazioni sarebbe mosso? E se sir Henry tentasse di uccidere Kate?  E se Athenaide rischiasse di essere avvelenata? E se Kate fosse rapita? Chi è chi?
Non vi svelerò il finale ma l'ho trovato abbastanza banale, soprattutto se seguite il filone del "Codice Da Vinci". E ovviamente alla fine vissero tutti felici e contenti.

venerdì 12 ottobre 2012

Gli occhi del drago - Stephen King

C'era una volta tanto tempo fa un re.

Le fiabe ci accompagnano nell' infanzia e a volte anche oltre. Ci sono fiabe che rimangono con noi per sempre, Cenerentola, Biancaneve... , sopite in un angolo remoto della nostra memoria, pronte a tornare alla mente nei momenti più impensati.
Da grandi le fiabe non ci interessano più, sono marginali, hanno formato le persone che siamo, ma dopo una certa età non entrano più nel nostro bagaglio di letture.
Il Re dell' Horror, Stephen King, ci regala un momento per tornare alle origini, all'infanzia, per tornare in quel luogo fantastico popolato da re, regine, principi e maghi cattivi. Un posto dove un principe può calarsi da una torre usando fili di tovaglioli. Eppure è anche un posto dove un re può essere assassinato barbaramente, un giudice può avere rimorsi di coscienza e dubbi sul concetto di giustizia.
Ecco un momento per tornare bambini rimanendo adulti.


Un ringraziamento a Tala, che me l'ha fatto scoprire permettendomi di evadere.

La cruna dell' Ago - Ken Follett

Faber è una spia e le spie scrupoli non se ne possono fare. Forse è questo che rende il personaggio tanto affascinante. Forse è per questo che speri che il personaggio alla fine non faccia una brutta fine. Perchè su una cosa siamo sicuri: Faber non porterà mai a termine la sua missione. E' una spia tedesca in Inghilterra, l'unico che sia riuscito a scoprire che lo sbarco del D-Day sarà in Normandia e non a Calais. E tutti sappiamo quale sia stato il risultato dello sbarco in Normandia.
Lucy e David si sposano. Lui, arruolato nell'aviazione, ha un incidente con la macchina e rimane senza gambe, menomato senza neppure aver volato una volta. I due in crisi matrimoniale si trasferiscono su un'isoletta perduta i cui unici abitanti sono un pastore, il suo cane e le sue pecore. I due entrano in crisi e da innamorati si trasformano in semplici coinquilini.
Faber è alla ricerca dell' U-boat tedesco che lo riporterà a casa, gli inglesi sono alla ricerca di Faber, conosciuto come Die Nadel, l' Ago. Ed è così che, cercando l' U-Boat, l' Ago naufraga sull' Isola della tempesta dove si innamora di Lucy.
Più che un romanzo di spionaggio è un romanzo psicologico, dove vengono analizzati i sentimenti e  i pensier di tutti, di Faber che per lavoro è costretto a uccidere e a non affezzionarsi mai, di Lucy "casalinga disperata" e madre attenta, di David, eroe mancato e uomo frustrato.

domenica 7 ottobre 2012

La caduta dei giganti - Ken Follett

Parlare di questo libro mi risulta un po' difficile, se non altro perchè non so da dove iniziare. Sono assolutamente patita di Ken Follett e ho letto praticamente tutti i suoi libri. Quindi non posso non consigliarvi questo.
Potrei paragonare questo libro a "I pilastri della terra", ma non sarebbe corretto perchè è una cosa completamente diversa. Sebbene "I pilastri della terra" sia un libro mastodontico che comprende la storia di svariati personaggi, non può arrivare alla valanga di personaggi e alla grandezza degli intrecci tra le varie storie dei personaggi di questo libro.
Siamo nel 1911 quando il libro inizia, William "Billy" Williams scende per la prima volta in miniera ad Aberowen, nel Galles meridionale. E' il figlio del sindacalista dei minatori e il fratello minore di Ethel, la governante della vicina villa di Ty Gwin, la tenuta di campagna del conte "Fitz" Fitzherbert, di sua moglie Bea, principessa russa, e della sorella di Fitz, Maud. Tra Ethel e Fitz nasce qualcosa, ma lui la lascia non appena scopre che la moglie è incinta. Peccato che anche Ethel sia incinta. Maud nel frattempo si innamora Walter von Ulrich, attachè militare tedesco a Londra. Nel modo della politica vediamo muoversi tra Germania e Inghilterra Gus Dewar, inviato americano. A San Pietroburgo si svolgono invece le storie di Grigorij Peskov e del fratello Lev orfani per colpa (indiretta) dello zar. Grigorij e Lev si contrappongono, il primo responsabile ma poco affascinante, il secondo scapestrato e fascinoso. Quando Grigorij salva Katerina, una giovane contadina giunta in città, dalla polizia, la donna si innamora del fratello. Nel momento in cui il fratello maggiore raccimola abbastanza soldi per andare in America, Lev gli chiede di fare cambio perchè accusato di omicidio. Partito per l'america il fratello, Grigorij scopre che Katerina è incinta e si prende cura di lei. Lev intanto finisce i Galles invece che in america, ingannato dalla famiglia che gli ha venduto il biglietto , i Vyalov. Dopo ennesimi sforzi riesce a finire in America dove finisce a lavorare per il ramo della famiglia Vyalov lì emigrata. Intrettenendo una relazione con Olga Vyalov è costretto a sposarla dopo averla messa incinta , quando la ragazza rompe il fidanzamento con Gus Dewar.
La guerra sconvolgerà la loro vita più d quanto vi abbia già raccontato.
Pensate che tutto quello che vi ho raccontato occupa neanche mezzo libro.
Io lo consiglio assolutamente.

domenica 16 settembre 2012

101 motivi per cui le donne sono più intelligenti degli uomini ma non sono al potere - Federica Morrone

Gli uomini vengono da Marte, le donne vengono da Venere.
Chi non ha mai sentito il titolo di questo libro (anche senza averlo letto, come me) vive veramente su Marte o Venere. E' fatto già appurato che il cervello femminile e quello maschile siano differenti e ironicamente li possiamo vedere così:  


Possiamo anche farci una risata su, riconoscendoci  in certi pregiudizi o allontanandoci da altri, ma la verità e che per quanto una donna sia taciturna il suo cervello è naturalmente predisposto a una parlantina più ampia di quella maschile. Dati scientifici ci dicono che un uomo dice in media 5'000 parole al giorno, in netto contrasto con le 20'000 della donna. 
Il titolo può essere fuorviante, non è un' analisi dei motivi per cui le donne non sono al potere (lo è ma non per tutti i 101 punti) ne un' ironica presa in giro sul genere femminile, come mi aspettavo data l'introduzione eccellente di Chiara Gamberale, introduzione che vi riporto perchè in alcuni punti veramente spassosa. 

"MA, AHIME', SEI NATA TU"
<<Pensare che quando è nata c' eri rimasto male perchè era un femmina>> ricordava mia madre a mio padre, ridendo, quando lo sorprendeva a contemplarmi con occhi innamorati. <<E adesso guardati qui. Pazzo di lei>>.
Che mio padre fosse pazzo di me (e io di lui) avrebbe compromesso la mia vita dall'adolescenza in poi, ma questa è un' altra storia. Che lui avesse desiderato un figlio maschio, invece, è stato il tarlo che si è infilato nella mia infanzia e ancora continua a crescere, ed è la storia da cui questa introduzione non può prescindere.
E' proprio a questa storia che Federica Morrone con il suo libro (che fra l'altro mi sorprende, mi imbarazza e commuove con il capitolo a me dedicato) regala l'interpretazione che le è sempre mancata. Anzi, la regala a noi: alla mia di storia ma anche a quella tua e sua e loro. A quella di tutte le donne che, leggendo queste pagine, potranno mutuare sensi di colpa ancestrali con ancestrali diritti, velleità con desideri legittimi, la vergogna con la fierezza. i <<perchè proprio a me?>> con gli <<evvai, proprio io>>. E, soprattutto, il pericoloso <<ahimè>> sempre in agguato con un <<per fortuna>>.
Perché, come se non bastassero le madri che per prendere in giro l'amore matto dei padri per le figlie dispensano aneddoti che preferiremmo ignorare, se sei nata alla fine degli anni Settanta o giù di lì ci si metteva pure lei: Lady Oscar.
<<Grande festa alla corte di Francia / c'è nel regno una bimba in più>>
E tu, dietro alla sigla, a cantare, tutta contenta.
<< Biondi capelli e rosa di guancia / Oscar ti chiamerai tu>>
Ancora tutto bene. Finchè.
<<Il buon padre voleva un maschietto...>>
Problemi suoi.
<<Ma, ahimè, sei nata tu...>>
Aiuto! Aiuto! Aiuto!
Eh, no che non erano del padre di Oscar, e dunque della società tutta, i problemi. Erano di Oscar! Ahimè era nata lei: una femmina. Ahimè eri nata tu: tu che stavi allegramente contando quella sigla, tu che ti saresti appassionata a quel cartone animato. Femmina, disgraziatamente.
Ma non essendoci fuori dalla porta la rivoluzione francese dove buttarti per espiare la tua colpa e dimostrare di sapere usare il fioretto, che cosa avresti potuto fare?
Lo avresti dimostrato senza rendertene conto, da lì in poi, a tuo padre, al mondo, ma soprattutto a te stessa, con  una rinuncia impercettibile, poi sempre più evidente, con il rifiuto di una frivolezza per te in quel momento necessaria, con un <<mi dispiace>> di troppo, un <<chiedimi subito scusa>> mancato. Che sia la sigla di Lady Oscar, la chiacchiera distratta di una madre, lo sguardo dimesso di una nonna a entrarti nei gangli e non farti vivere appieno la grande festa alla corte del mondo per essere nata donna, poco conta. L'importante, prima o poi, meglio prima che poi, presto o tardi, meglio ora, è farlo.
Questo libro di Federica Morrone, questo viaggio scrupoloso, dolorante e felice nella storia, nella letteratura, nella società, nelle nostre case, è il migliore invito che possiamo ricevere. >>
CHIARA GAMBERALE

In parte deviata dal titolo, in parte dall' introduzione, mi aspettavo una cosa e invece ne ho letta un'altra. Passata l'iniziale delusione, ho apprezzato il libro, ma con un retrogusto amaro che mi sapeva tanto da AUTOCELEBRAZIONE e BUONISMO.
<< Noi donne siamo migliori degli uomini, ma non saremo mai al potere perchè ci sono delle donne sgualdrine che per fare carriera usano la loro unica dote, il corpo, per arrivare a incarichi di potere che poi non sanno gestire facendo ricadere una patina di incapacità su tutto il genere femminile.>> Questo forse potrebbe essere uno dei fili conduttori che dal primo capito si dipana per tutto il libro. Niente da eccepire, concetto giustissimo, ma detto una volta, già lo conosciamo a sufficienza!  Per non parlare poi delle contraddizioni interne, se in un capitolo dice che è dovere di tutte le donne non respingere il dono della maternità, poi apprezza la fierezza delle donne che decidono di non avere figli. Forse, come ogni donna, è contraddittoria e segue questo principio nel suo libro. 

In definitiva mi è sembrato che la signora Morrone abbia voluto dettare una summa di tutti i comportamenti femminili, dando giudizi e classificandoli come scorretti o adeguati. 
Non dico che non abbia fatto un eccellente lavoro di ricerca, con tanti punti di argomento internazionale che ci dovrebbero interessare, come la mutilazione genitale femminile, o che non abbia messo in luce alla fine del libro donne coraggiose, donne che hanno accettato la loro femminilità e nonostante questo sono riuscite a fare carriera, donne di spicco ( Michelle Bachelet, Irma Bandiera, Miriam O'Reilly, Asmaa Mahfouz, Aung San Suu Kyi, Fawzia Koofi, Daria Bignardi, Serena Dandini, Irene Bernardini, Amelia Earhart, Enrica Campanini, Angela Merkel, Chiara Gamberale, Bianca Balti, Luciana Littizzetto, Anna Politkovskaja, Maria Montessori, Madre Teresa di Calcutta e Didala Ghilarducci).

Mi sembra però che il titolo sia sbagliato. sarebbe stato meglio : << 101 cose sulle donne che dovreste sapere >>. Più che seri motivi sono un' accozzaglia di informazioni, curiosità e tesi.

giovedì 23 agosto 2012

Una questione privata - Beppe Fenoglio

E' una questione privata che porta Milton, partigiano badogliano, a intraprendere un "viaggio" per cercare l'amico Giorgio. Vado con ordinen
? Forse è meglio. Giorgio e Milton sono amici, quasi fratelli, ma sono assolutamente diversi. Milton è brutto, ma acculturato: parla inglese, andava all'universotà, scrive lettere bellissime. Giorgio è bello, ma non sa fare alcuna delle cose sopracitate. Giorgio presenta a Milton Fulvia, una ragazza di Torino, temporaneamente sfollata ad Alba. Milton se ne innamora, ma Fulvia non ne vuole sapere mezza. La ragazza è più affine a Giorgio e infatti sembra che tra i due ci sia qualcosa che Milton non vede.
Diventato un partigiano, Milton si ritrova davanti alla villa di Fulvia e decde di entrare per vedere la ragazza. Lei però è tornata a Torino e il partigiano si trova davanti la governante che gli mette la pulce nell'orecchio su una possibile relazione tra Fulvia e Giorgio. 
Vivendo la cosa come un tradimento Milton va sulle tracce dell'amico per chiedergli... non sa bene neanche lui cosa chiedergli, immagino se sia vero che aveva un relazione con Fulvia. 
Quando arriva nel comando di Giorgio (partigiano anche lui), scopre che l'amico è stato catturato dai fascisti. Allora parte per cercare un ostaggio fascista da scambiare, lo cattura, ma poi è costretto a ucciderlo. Vedendosi negata l'ultima possibilità per riscattare Giorgio e di conseguenza per scoprire la verità, decide di tornare alla villa e intimare alla governante di spiegarsi meglio, senza mezze parole. 
Sulla strada però incontra una pattuglia fascista da cui viene inseguito a suon di spari, Milton entra in un bosco dove crolla. 
FINE
Il romanzo è pubblicato postumo, quindi non sapremmo mai se è incompiuto, con finale aperto o se finisca con la morte del protagonista.
Il romanzo non è scritto male ed è una lettura piacevole, ma... con  tutti i problemi che avevano i partigiani (freddo, mancanza di cibo, mancanza di armi, etc...) questo era l' UNICO problema di Milton?

lunedì 20 agosto 2012

Il segreto dei Segonzac - Alberto Ongaro

Un uomo trova un dipinto incompleto e inventa la storia dei personaggi rappresentati.
Philippe Ségonzac cavalca da solo quando improvvisamente qualcuno tenta di ucciderlo. Miracolosamente riesce a scappare e si reca a casa del padre. Essendo medico viene chiamato per soccorrere un ferito in una locanda dove alberga un signorotto (stile Don Rodrigo) che è il feritore. Philippe armato di un senso dell'onore altissimo scaccia il signorotto che saputo il suo nome esclama: " Ma come! Voi dovreste essere morto!" (o qualcosa del genere). E' così che Philippe scopre che qulacuno lo vuole uccidere, m non sa perchè. L'inizio è promettente, sembra uno dei soliti gialli storici, di quelli che ogni tanto a piacere leggere, anche se ne hanno già scritti migliaia. La narrazione è scorrevele, ma la trama è così banale che a metà del libro se non avevo ancora capito qual'era il segreto, ero già certa che i fratelli che gli davano la caccia lo facevano perchè lui doveva sapere un segreto che in realtà non sa, e siccome gli danno la caccia questo segreto lui lo scopre.
Questo segreto è poi una cavolata assurda e non si capisce per quale arcano motivo Philippe dovrebbe rivelarlo. I due fratelli (gemelli) fanno parte di una ricca e nobile famiglia francese e il loro segreto è che quello che loro ritengono essere loro nonno è in realtà loro padre. Infatti quello che loro chiamano padre aveva una moglie che era morta di parto insieme al figlio. Nello stesso momento una delle amanti del "nonno" era morta dando alla luce due gemelli. Così sotto consiglio (scherzoso?) del padre di Philippe il "nonno" per non abbandonare i figli e non creare scandalo fa passare i due gemelli come i nipoti legittimi sopravvisuti alla nuora deceduta. Ora la femmina dei due gemelli scopre la verità e ha una brutta sensazione (ebbene sì, è una sensitiva) così ordina al fratello di uccidere Philippe. Per una sorta di fato greco ciò che si cerca di contrastare avviene ugualmente (come Laio che espone Edipo perchè non lo uccida, Edipo viene salvato e lo uccide proprio perchè non sa che è suo padre) e Philippe scopre il segreto.
Libro fortemente sconsigliato; adatto per ricevere una fregatura nel finale.

La mandragola - Macchiavelli

Un giovane fiorentino immigrato in Francia sente tessere le lodi di una giovane donna e torna a Firenze per vedere se è veramente bella come gli avevano detto. Vedendola se ne innamora. L' unico problema è che la donna in questione è timorosa di Dio e sposata. Così il giovane elabora un contorto piano, "macciavellico" appunto, per andare a letto con lei. Chiama così il marito di lei spacciandosi per medico e, sapendo che i due sposi vorrebbero avere figli ma non ci riescono, gli propone una pozione di mandragola che però ucciderebbe il primo a copulare con la donna. Devono trovare quindi un uomo e convincerela donna. Il primo di quest problemi è risolto, il falso medico travestito sarà il volontario, mentre la donna viene convinta dal suo confessore corrotto dal marito stesso.
Durante la notte d'amore il giovane si rivela alla donna e le racconta il piano da lui escogitato. Lei decidendo che il marito è così stupido da meritarsi tutte le corna, prende il giovane come suo amante fisso con la promessa però che l'avrebbe sposata se il marito fosse morto (d'altronde è timorata di Dio, ve lo avevo detto!)

"La mandragola" è un opera teatrale pubblicata nel 1524 (l'esatta data di scrittura è incerta). E' scritto in volgare, quindi il linguaggio è un po' arcaico, non venendo da una traduzione dal latino. Il testo è breve, scorrevole e simpatico. Assolutamente consigliato.
Si legge in poco tempo e strappa più di un sorriso.