Le porte della Notte - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
Siamo i guardiani delle porte della Notte.
Doganieri crepuscolari, sorvegliamo il passaggio delle potenze dell' ombra e di quelle del giorno, spiamo gli spostamenti del mistero. Limitiamo i flussi migratori clandestini della luce nelle tenebre e, viceversa, delle tenebre nella luce. Da noi dipende il giusto e il necessario equilibrio tra l'armonia e il caos, il senso e il non senso.
Frequentiamo le creature dell' abisso, tutte quelle che l' uomo non vede, ma che percepisce con terrore: fantasmi, lemuri, succubi, titani, demiurghi e demoni d'ogni specie. Spiamo anche i mostri della mezzanotte, ghul demoniaci, vampiri, lupi mannari, gnomi, folletti e spiritelli che seminano il panico tra i piccoli bipedi, si nascondono sotto i letti o sul fondo degli armadi o negli angoli dei corridoi scuri. La nostra sorveglianza non conosce liminti. Noi vediamo anche quegli esseri improbabili che si spostano ai confini del campo visivo, le innominabili entità geometriche che trovano rifugio all'incrocio di spazi e luoghi insensati, e tutti gli invisibili predatori, travestiti da oggetti banali o famigliari.
Su questo emisfero oscuro del reale, vivono i popoli della notte. Noi conosciamo i loro geroglifici e il loro sanscrito. La legge è semplice e non conosce infrazioni. Si devono rispettare scrupolosamente i privilegi e le prerogative dei sovrani dell'ombra.
E' soltanto a questa condizione che possiamo condurre a buon fine la nostra missione di intermediari e di intercessori, ma anche messaggeri tra i due mondi.
Ebbene da tempo gli uomini rifiutano e si fanno beffe di queste regole ineluttabili. Gli abitanti della notte hanno diritto di cittadinanza solo nei giornali per bambini o in film dell' orrore piuttosto volgari. I territori del sogno o della trance sono esplorati soltanto dai vanitosi saltimbanchi della psicoanalisi, che li osservano con freddezza, ben al riparo nella loro nicchia.
Le grandi feste e cerimonie notturne di un tempo, baccanali, saturnali, orge sacre, sono state rimpiazzate dalla folle tristezza dell' alcolismo solitario e dalla catatonia delle droghe pesanti. Le grandi eruzioni degli incantesimi erotici abbandonate a vantaggio di un grigio, ripetitivo e catarroso commercio pornografico. La morte, questa grande signora che un tempo giungeva nelle case con il suo bel carro stridente e l'orchestra di scheletri grinzosi, anche la morte è obbligata a scivolare furtivamente nei corridoi degli ospedali o nelle sale dei reparti di pronto soccorso. Taluni arrivano fino a negare la sua necessità onnipotente e a contestare la sua sovrana presenza nel mondo, congelando la loro carcassa in frigoriferi ben sigillati.
L' uomo rifiuta l'obolo ai folli, ai veggenti, ai santi, ai dementi, ai fantasmi.
Rinchiude tutto ciò che non riesce a capire nelle istituzioni psichiatriche e sotterra ciò che lo turba sotto montagne di ansiolitici e neurolettici.
Si crede assai più logico e ragionevole mentre è soltanto più cieco; si crede assai più sapiente mentre è soltanto più ottuso. Poichè manda dei satelliti nello spazio, pensa di avere ampliato le sue conoscenze, mentre ha solo ristretto e impoverito il proprio campo di esperienza. Poichè si è consacrato al pragmatismo e all' utilitarismo, si crede più ricco, quando invece ha perduto il solo vero tesoro che è la poesia delle cose.
E noi, guardiani delle porte della Notte, presto apriremo l'antico e grande passaggio tra i due mondi, affinchè il popolo delle tenebre piombi su questi bipedi vanitosi e perpetuatori del male.
giovedì 31 maggio 2012
Il compagno di Lilith
Il compagno di Lilith - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
La prima donna, quando ancora Eva non era nata, fu Lilith, la pura, l'impenetrabile, la ribelle, senza macchia e senza paura, che rifiutò di sottomettersi all' uomo; lei, l'eterno femminino, la luce tenebrosa, l'invisibile visibile, la cui insostenibile bellezza non fu mai celata, rimanendo pur sempre indecifrabile.
Eva, la docile sposa, la casalinga compiacente e sottomessa, possedeva come armi la furbizia e la menzogna. Per questo fu una discepola esemplare del Serpente.
Quando si sottrasse alle fredde esigenze del Verbo e dei Principi, Lilith, l'incontrollabile, l'imprevedibile, la vergine selvaggi e convulsa, la sovrana delle ombre, scelse per compagno lo spirito stesso della notte e del mistero: il gatto.
Sempre indomabile Lilith continua a guardare con sospetto e diffidenza il genere umano. Ma ci manda i suoi amici gatti che ci sorvegliano con attenzione e le riportano scrupolosamente ogni nostra azione e tutte le nostre gesta.
La prima donna, quando ancora Eva non era nata, fu Lilith, la pura, l'impenetrabile, la ribelle, senza macchia e senza paura, che rifiutò di sottomettersi all' uomo; lei, l'eterno femminino, la luce tenebrosa, l'invisibile visibile, la cui insostenibile bellezza non fu mai celata, rimanendo pur sempre indecifrabile.
Eva, la docile sposa, la casalinga compiacente e sottomessa, possedeva come armi la furbizia e la menzogna. Per questo fu una discepola esemplare del Serpente.
Quando si sottrasse alle fredde esigenze del Verbo e dei Principi, Lilith, l'incontrollabile, l'imprevedibile, la vergine selvaggi e convulsa, la sovrana delle ombre, scelse per compagno lo spirito stesso della notte e del mistero: il gatto.
Sempre indomabile Lilith continua a guardare con sospetto e diffidenza il genere umano. Ma ci manda i suoi amici gatti che ci sorvegliano con attenzione e le riportano scrupolosamente ogni nostra azione e tutte le nostre gesta.
Il Paradiso
Il Paradiso - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
All' inizio della sua storia, la specie umana, per colpa propria, venne esiliata dal Paradiso.
Per generazioni, gli uomini, oppressi, si lamentarono, supplicando il cielo perché venisse loro restituita la felicità sottratta. Tentarono spedizioni estenuanti ai confini della terra, affrontarono mille pericoli, ma invano: le strade che conducevano al Paradiso erano semplicemente scomparse, immerse nelle tenebre più impenetrabili. Non restava che rassegnarsi alla sofferenza, alla miseria, alla vecchiaia e alla morte.
Ma i figli degli uomini non rinunciarono così facilmente.
Un giorno, si presentò un giovane dotato di un'intelligenza particolarmente perspicace, sottile e tenace. Egli sapeva che quando l'uomo era stato esiliato dal Paradiso, ne erano state espulse anche le altre creature che non conoscevano più né pace né tregua nella loro lotta per la vita. E poiché tutte erano state colpite da amnesia non erano più in grado di ritrovare il cammino che li avrebbe condotti al Giardino delle Delizie. Un grande sconforto opprimeva tutti i cuori. Un solo animale era riuscito a sottrarsi a questa sensazione universale: il gatto.
Quando le diverse specie erano state gettate neel' ombra e nell' orrore, i suoi occhi che penetrano e dissipano le tenebre più fitte, gli avevano permesso di vedere tutto ciò con precisione. Solo lui dunque conosceva la via. E questo prezioso sapere veniva trasmesso a tutti i gatti, al momento della loro nascita.
Il giovane che con tutte le sue forze aspirava a ritrovare la strada della beatitudine, divenne il compagno fedele di un gatto che, dopo molte obiezioni ed esitazioni, acconsentì a fargli da guida.
"Il viaggio rischia di essere molto faticoso e, forse, fatale..." disse il felino. "Non so se un cucciolo d'uomo abbia la resistenza e il coraggio necessari..."
Ma il giovane insisté così tanto che il gattone accettò, e condusse il suo amico lontano dal villaggio natale, fuori dalle strade segnalate dalle carte geografiche. Raggiunsero assai presto i confini di un deserto che avrebbero dovuto attraversare. In quell' immensità incandescente e desolata, le provviste dei due compagni di viaggio si esaurirono rapidamente. Il felino sapeva come sopravvivere sfruttando le proprie riserve e la sua andatura non cedeva. Ma l' uomo, assetato e affamato, ormai allo stremo delle forze, procedeva a fatica vacillando.
D' improvviso all' orizzonte apparve un paesaggio meraviglioso dove abbondavano giardini ombreggianti, frutteti splendenti, laghetti con acque cristalline e favolosi palazzi.
"Ecco dunque ricompensati i nostri sforzi" giubilò il ragazzo "Sicuramente ciò che vediamo è l'inizio del paradiso!"
"Non agitarti" disse il gatto. "Ciò che vedi è soltanto un volgare miraggio."
Il cammino riprese sempre più massacrante e il giovane credette mille volte di soccombere o impazzire.
Giunsero infine ai limiti di una fitta e buia foresta, dove i due compagni di viaggio poterono riposare unpo' e rifocillarsi, grazie al felino che riuscì a catturare qualche piccione paffuto che poi fece arrostire su un fuoco di ramoscelli. Ripresosi almeno in parte, il ragazzo seguì la sua guida attraverso l'inestricabile dedalo di rami, alberi e rovi, dove si nascondevano ogni sorta di animaletti viscidi, velenosi o urticanti. Ma la sola presenza del gatto bastava a scoraggiare le loro intenzioni agressive. Sotto le pesanti fronde degli alberi, l'oscurità diventava sempre più fitta e soltanto il gatto poteva distinguere con precisione le forme. Giunti al centro della foresta, apparvero mostri di volta in volta più strani e orribili, che vagavano in una atmosfera crepuscolare torva e minacciosa. Le loro danze selvagge, i loro gesti frenetici, le loro zanne bavose e sanguinanti, i loro infiniti occhi rossi e infuocati impressionarono il ragazzo che sentì il cuore sobbalzare e le viscere contorcersi.
"Non avere paura" disse il gatto. "Non guardarli nemmeno. E' solo la tua angoscia che li rende simili a mostri reali. Smetti di temerli e vedrai che scompariranno"
Il giovane ascoltò i consigli del felino e i due poterono così continuare il viaggio.
(mio commento: vista l'estenuante lunghezza del racconto che più scrivo più mi viene voglia di non aver mai iniziato, ho deciso di fare un breve sunto di quello che succede visto che mi sembra che l'autrice usi troppe parole per descrivere fatti brevi di per se)
// I due compagni si trovano di fronte ad un drago, il ragazzo prova ad ucciderlo pensando che così facendo sarebbe potuto arrivare al Paradiso. Non ci riesce e ha bisogno dell'aiuto del gatto che gli dice cosa fare. Il percorso però non è terminato e i due si trovano davanti ad una montagna che scalano con grandissima fatica. //
(Ecco vi ho risparmiato più o meno due pagine di narrazione)
"Allora, ci stiamo avvicinando alla meta?"
"Io ti ho lasciato salire, piccolo uomo, e ti ho anche accompagnato, ma questa montagna non conduce in Paradiso. Questa cima segna soltanto il punto più alto del tuo orgoglio e della tua fatuità... Adesso, se possiedi il coraggio che dici di avere, seguimi sulla pista degli uragani..."
// I due cavalcano i venti e vengono depositati in una città piena di gioia e di feste. //
"Ebbene" disse il ragazzo "non siamo ancora in Paradiso?"
"Siamo nella città della gioia, ma non ci troviamo ancora in Paradiso. Ogni felicità ha un inizio e una fine. Il Paradiso invece è fuori dal tempo."
La tappa seguente li condusse ai margini di un abisso. Un angelo dall' atteggiamento minaccioso se ne stava di guardia. I viaggiatori furono obbligati a spiegare le ragioni della loro presenza.
"Vedete bene" borbottò l'angelo "che al di là di questo abisso non c'è niente. Tanto peggio per l'imprudente che varcherà questa soglia!"
"Questo angelo" mormorò il gatto all'orecchio del suo discepolo è un bugiardo e un paranoico. Andiamo, seguimi!"
Il felino saltò nell' abisso e il suo compagno di viaggio lo seguì.
Nel medesimo istante, i due amici si trovarono nel villaggio natale del giovane, proprio nel luogo da cui erano partiti. Il piccolo uomo capì allora che il paradiso era sempre stato lì e che quel luogo era fuori dal tempo, evidente e visibile come il naso in mezzo alla faccia, perchè collocato al suo interno e non altrove.
Il gatto disse ancora:
"E' proprio perchè gli uomini cercano in ogni modo e forsennatamente di andare dove già sono che si credono esclusi dal Giardino delle Delizie..."
All' inizio della sua storia, la specie umana, per colpa propria, venne esiliata dal Paradiso.
Per generazioni, gli uomini, oppressi, si lamentarono, supplicando il cielo perché venisse loro restituita la felicità sottratta. Tentarono spedizioni estenuanti ai confini della terra, affrontarono mille pericoli, ma invano: le strade che conducevano al Paradiso erano semplicemente scomparse, immerse nelle tenebre più impenetrabili. Non restava che rassegnarsi alla sofferenza, alla miseria, alla vecchiaia e alla morte.
Ma i figli degli uomini non rinunciarono così facilmente.
Un giorno, si presentò un giovane dotato di un'intelligenza particolarmente perspicace, sottile e tenace. Egli sapeva che quando l'uomo era stato esiliato dal Paradiso, ne erano state espulse anche le altre creature che non conoscevano più né pace né tregua nella loro lotta per la vita. E poiché tutte erano state colpite da amnesia non erano più in grado di ritrovare il cammino che li avrebbe condotti al Giardino delle Delizie. Un grande sconforto opprimeva tutti i cuori. Un solo animale era riuscito a sottrarsi a questa sensazione universale: il gatto.
Quando le diverse specie erano state gettate neel' ombra e nell' orrore, i suoi occhi che penetrano e dissipano le tenebre più fitte, gli avevano permesso di vedere tutto ciò con precisione. Solo lui dunque conosceva la via. E questo prezioso sapere veniva trasmesso a tutti i gatti, al momento della loro nascita.
Il giovane che con tutte le sue forze aspirava a ritrovare la strada della beatitudine, divenne il compagno fedele di un gatto che, dopo molte obiezioni ed esitazioni, acconsentì a fargli da guida.
"Il viaggio rischia di essere molto faticoso e, forse, fatale..." disse il felino. "Non so se un cucciolo d'uomo abbia la resistenza e il coraggio necessari..."
Ma il giovane insisté così tanto che il gattone accettò, e condusse il suo amico lontano dal villaggio natale, fuori dalle strade segnalate dalle carte geografiche. Raggiunsero assai presto i confini di un deserto che avrebbero dovuto attraversare. In quell' immensità incandescente e desolata, le provviste dei due compagni di viaggio si esaurirono rapidamente. Il felino sapeva come sopravvivere sfruttando le proprie riserve e la sua andatura non cedeva. Ma l' uomo, assetato e affamato, ormai allo stremo delle forze, procedeva a fatica vacillando.
D' improvviso all' orizzonte apparve un paesaggio meraviglioso dove abbondavano giardini ombreggianti, frutteti splendenti, laghetti con acque cristalline e favolosi palazzi.
"Ecco dunque ricompensati i nostri sforzi" giubilò il ragazzo "Sicuramente ciò che vediamo è l'inizio del paradiso!"
"Non agitarti" disse il gatto. "Ciò che vedi è soltanto un volgare miraggio."
Il cammino riprese sempre più massacrante e il giovane credette mille volte di soccombere o impazzire.
Giunsero infine ai limiti di una fitta e buia foresta, dove i due compagni di viaggio poterono riposare unpo' e rifocillarsi, grazie al felino che riuscì a catturare qualche piccione paffuto che poi fece arrostire su un fuoco di ramoscelli. Ripresosi almeno in parte, il ragazzo seguì la sua guida attraverso l'inestricabile dedalo di rami, alberi e rovi, dove si nascondevano ogni sorta di animaletti viscidi, velenosi o urticanti. Ma la sola presenza del gatto bastava a scoraggiare le loro intenzioni agressive. Sotto le pesanti fronde degli alberi, l'oscurità diventava sempre più fitta e soltanto il gatto poteva distinguere con precisione le forme. Giunti al centro della foresta, apparvero mostri di volta in volta più strani e orribili, che vagavano in una atmosfera crepuscolare torva e minacciosa. Le loro danze selvagge, i loro gesti frenetici, le loro zanne bavose e sanguinanti, i loro infiniti occhi rossi e infuocati impressionarono il ragazzo che sentì il cuore sobbalzare e le viscere contorcersi.
"Non avere paura" disse il gatto. "Non guardarli nemmeno. E' solo la tua angoscia che li rende simili a mostri reali. Smetti di temerli e vedrai che scompariranno"
Il giovane ascoltò i consigli del felino e i due poterono così continuare il viaggio.
(mio commento: vista l'estenuante lunghezza del racconto che più scrivo più mi viene voglia di non aver mai iniziato, ho deciso di fare un breve sunto di quello che succede visto che mi sembra che l'autrice usi troppe parole per descrivere fatti brevi di per se)
// I due compagni si trovano di fronte ad un drago, il ragazzo prova ad ucciderlo pensando che così facendo sarebbe potuto arrivare al Paradiso. Non ci riesce e ha bisogno dell'aiuto del gatto che gli dice cosa fare. Il percorso però non è terminato e i due si trovano davanti ad una montagna che scalano con grandissima fatica. //
(Ecco vi ho risparmiato più o meno due pagine di narrazione)
"Allora, ci stiamo avvicinando alla meta?"
"Io ti ho lasciato salire, piccolo uomo, e ti ho anche accompagnato, ma questa montagna non conduce in Paradiso. Questa cima segna soltanto il punto più alto del tuo orgoglio e della tua fatuità... Adesso, se possiedi il coraggio che dici di avere, seguimi sulla pista degli uragani..."
// I due cavalcano i venti e vengono depositati in una città piena di gioia e di feste. //
"Ebbene" disse il ragazzo "non siamo ancora in Paradiso?"
"Siamo nella città della gioia, ma non ci troviamo ancora in Paradiso. Ogni felicità ha un inizio e una fine. Il Paradiso invece è fuori dal tempo."
La tappa seguente li condusse ai margini di un abisso. Un angelo dall' atteggiamento minaccioso se ne stava di guardia. I viaggiatori furono obbligati a spiegare le ragioni della loro presenza.
"Vedete bene" borbottò l'angelo "che al di là di questo abisso non c'è niente. Tanto peggio per l'imprudente che varcherà questa soglia!"
"Questo angelo" mormorò il gatto all'orecchio del suo discepolo è un bugiardo e un paranoico. Andiamo, seguimi!"
Il felino saltò nell' abisso e il suo compagno di viaggio lo seguì.
Nel medesimo istante, i due amici si trovarono nel villaggio natale del giovane, proprio nel luogo da cui erano partiti. Il piccolo uomo capì allora che il paradiso era sempre stato lì e che quel luogo era fuori dal tempo, evidente e visibile come il naso in mezzo alla faccia, perchè collocato al suo interno e non altrove.
Il gatto disse ancora:
"E' proprio perchè gli uomini cercano in ogni modo e forsennatamente di andare dove già sono che si credono esclusi dal Giardino delle Delizie..."
Il silenzio degli angeli
Il silenzio degli angeli - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
Quando il Supremo ebbe creato l'immensa orchestra degli angeli, si dovette procedere a una selezione molto delicata, al fine di utilizzare i musici celesti al meglio dei loro rispettivi talenti.
I serafini e cherubini - considerati la più alta espressione della gerarchia angelica - pretesero di dominare con la loro musica le sfere superiori. Altri si sparpagliarono nello spazio, falangi luminose, per cantare eternamente tra il grande sciame delle nebulose, raccogliendo il nettare nel vuoto interstellare. Taluni arcangeli, di umore guerriero e di natura selvatica, lasciarono libero sfogo alle loro percussioni vociferanti e alle loro voci squillanti e selvagge nel cuore di maremoti, terremoti,
(mio commento: ecco non potevano rimanere nelle loro belle sfere celesti almeno questi?)
tornad e tuoni. Molti formavano fiammelle incandescenti, per cantare la gloria del Signore, diffonderne la lode e celebrare il suo splendore fino ai confini del non essere.
(mio commento: chi è questo, Parmenide?)
Alcuni di loro, più modestamente, scelsero le melodie del tempo che scorre, i ritornelli della pioggia e della brezza, lo sciabordio delle onde, il ticchettio dei granelli sulla sabbia, la soave melodia felpata dei fiocchi di neve nel corso dell'inverno, il crepitio della brace e il fischio dell'acqua che bolle nella teiera.
Ci furono anche angeli che presero i loro violini per intonare il triste canto della sofferenza universale, il pianto delle madri, il gemito dei reprobi e le grida dei perseguitati.
Alcuni angeli sbarazzini e un po' birbanti chiesero di dare voce al riso dei bambini. Altri ancora attribuendosi il titolo di angeli custodi composero la melodia delle coscienze, il valzer ritmato del bene e del male.
Un certo numero di angeli, tuttavia, sembravano chiusi in uno strano mutismo.
"Quale spazio volete dunque?" chiese loro il Supremo.
"Quello che si trova tra le note. La musica del silenzio..."
L' Eterno li mandò sulla terra , sotto forma di gatti; le loro ali si aprono in tutta la loro grandezza ogni notte, quando nessuno sguardo umano può sorprenderli.
Quando il Supremo ebbe creato l'immensa orchestra degli angeli, si dovette procedere a una selezione molto delicata, al fine di utilizzare i musici celesti al meglio dei loro rispettivi talenti.
I serafini e cherubini - considerati la più alta espressione della gerarchia angelica - pretesero di dominare con la loro musica le sfere superiori. Altri si sparpagliarono nello spazio, falangi luminose, per cantare eternamente tra il grande sciame delle nebulose, raccogliendo il nettare nel vuoto interstellare. Taluni arcangeli, di umore guerriero e di natura selvatica, lasciarono libero sfogo alle loro percussioni vociferanti e alle loro voci squillanti e selvagge nel cuore di maremoti, terremoti,
(mio commento: ecco non potevano rimanere nelle loro belle sfere celesti almeno questi?)
tornad e tuoni. Molti formavano fiammelle incandescenti, per cantare la gloria del Signore, diffonderne la lode e celebrare il suo splendore fino ai confini del non essere.
(mio commento: chi è questo, Parmenide?)
Alcuni di loro, più modestamente, scelsero le melodie del tempo che scorre, i ritornelli della pioggia e della brezza, lo sciabordio delle onde, il ticchettio dei granelli sulla sabbia, la soave melodia felpata dei fiocchi di neve nel corso dell'inverno, il crepitio della brace e il fischio dell'acqua che bolle nella teiera.
Ci furono anche angeli che presero i loro violini per intonare il triste canto della sofferenza universale, il pianto delle madri, il gemito dei reprobi e le grida dei perseguitati.
Alcuni angeli sbarazzini e un po' birbanti chiesero di dare voce al riso dei bambini. Altri ancora attribuendosi il titolo di angeli custodi composero la melodia delle coscienze, il valzer ritmato del bene e del male.
Un certo numero di angeli, tuttavia, sembravano chiusi in uno strano mutismo.
"Quale spazio volete dunque?" chiese loro il Supremo.
"Quello che si trova tra le note. La musica del silenzio..."
L' Eterno li mandò sulla terra , sotto forma di gatti; le loro ali si aprono in tutta la loro grandezza ogni notte, quando nessuno sguardo umano può sorprenderli.
La notte
La notte - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
Una notte oscura e fitta minacciava di scendere sulla terra. Era una di quelle notti terribili, senza luna e senza stelle, assoluta, un abisso senza fine.
All' avvicinarsi di una tale calamità, gli animali delle foreste e delle pianure si riunirono a convegno.
"Ahi noi!" gemettero in coro tutte le piccole creature dei campi: insetti, rane, lumache, lucertole. "Che disgrazia! Che terribile disgrazia... Saremo preda di spettri, silfidi, vampiri e di tutti i demoni e gli orchi che vagano nelle tenebre a caccia di vittime innocenti."
"Io" disse l'elefante, poco convinto "calpesterò tutto al mio passaggio."
"Quanto a me" continuò il serpente "mi lascerò ondeggiare, mi contorcerò, e striscerò via..."
Ma gli mancava il coraggio.
"Peggio per lei" mormorò il ragno. "Io tesserò una tela talmente inestricabile che persino la notte più nera ne rimarrà intrappolata."
"Noi sibilarono le zanzare "pungeremo a caso l'oscurità, scaveremo nella sua pelle e la tormenteremo fino alle lacrime"
"Le strapperemo la pelle... " rincararono la dose i coccodrilli.
"E noi faremo a pezzi la sua carcassa" ridacchiarono nervosamente gli avvoltoi.
"Io" tuonò la balena "perforerò i timpani della notte, emettendo ultrasuoni insopportabili."
Ma, dietro questi propositi spavaldi e arroganti, covava la paura.
"Miei buoni amici e devoti sudditi" intervenne il leone (che nella sua maestà autoproclamata si credeva ingenuamente il re degli animali) "io non temo né i mostri né gli spiriti malefici. Comunque, è assolutamente necessario... e in tutta fretta, trovare un mezzo energico per combattere questa oscurità sovvertitrice."
"E se chiedessimo aiuto agli uomini?" suggerì il cane scodinzolando agitato.
La sua proposta suscitò un concerto di dissensi.
"Proprio loro!" intervenne con disappunto il gufo che era considerato un' autorità morale, "basta che quei tipi si intromettano in qualcosa perchè tutto vada a catafascio. Meno li vediamo, meglio è per tutti!"
Uno solo non si era ancora degnato di commentare quella delicata questione. Appollaiato su un ramo, osservava gli astanti, apparentemente immerso in uno stato di noncurante indifferenza.
"Ebbene" gli chiesero gli altri animali "non hai proprio niente da proporre? Questo problema riguarda tutti noi. E? forse troppo futile per sua signoria?"
Il gatto sogghignò e disse:
"O spiriti vuoti e cuori codardi! Il vostro grande dilemma è ben poca cosa in verità. Quando la notte scenderà, basterà chiudere gli occhi e dormire".
Una notte oscura e fitta minacciava di scendere sulla terra. Era una di quelle notti terribili, senza luna e senza stelle, assoluta, un abisso senza fine.
All' avvicinarsi di una tale calamità, gli animali delle foreste e delle pianure si riunirono a convegno.
"Ahi noi!" gemettero in coro tutte le piccole creature dei campi: insetti, rane, lumache, lucertole. "Che disgrazia! Che terribile disgrazia... Saremo preda di spettri, silfidi, vampiri e di tutti i demoni e gli orchi che vagano nelle tenebre a caccia di vittime innocenti."
"Io" disse l'elefante, poco convinto "calpesterò tutto al mio passaggio."
"Quanto a me" continuò il serpente "mi lascerò ondeggiare, mi contorcerò, e striscerò via..."
Ma gli mancava il coraggio.
"Peggio per lei" mormorò il ragno. "Io tesserò una tela talmente inestricabile che persino la notte più nera ne rimarrà intrappolata."
"Noi sibilarono le zanzare "pungeremo a caso l'oscurità, scaveremo nella sua pelle e la tormenteremo fino alle lacrime"
"Le strapperemo la pelle... " rincararono la dose i coccodrilli.
"E noi faremo a pezzi la sua carcassa" ridacchiarono nervosamente gli avvoltoi.
"Io" tuonò la balena "perforerò i timpani della notte, emettendo ultrasuoni insopportabili."
Ma, dietro questi propositi spavaldi e arroganti, covava la paura.
"Miei buoni amici e devoti sudditi" intervenne il leone (che nella sua maestà autoproclamata si credeva ingenuamente il re degli animali) "io non temo né i mostri né gli spiriti malefici. Comunque, è assolutamente necessario... e in tutta fretta, trovare un mezzo energico per combattere questa oscurità sovvertitrice."
"E se chiedessimo aiuto agli uomini?" suggerì il cane scodinzolando agitato.
La sua proposta suscitò un concerto di dissensi.
"Proprio loro!" intervenne con disappunto il gufo che era considerato un' autorità morale, "basta che quei tipi si intromettano in qualcosa perchè tutto vada a catafascio. Meno li vediamo, meglio è per tutti!"
Uno solo non si era ancora degnato di commentare quella delicata questione. Appollaiato su un ramo, osservava gli astanti, apparentemente immerso in uno stato di noncurante indifferenza.
"Ebbene" gli chiesero gli altri animali "non hai proprio niente da proporre? Questo problema riguarda tutti noi. E? forse troppo futile per sua signoria?"
Il gatto sogghignò e disse:
"O spiriti vuoti e cuori codardi! Il vostro grande dilemma è ben poca cosa in verità. Quando la notte scenderà, basterà chiudere gli occhi e dormire".
La saggezza dei gatti
La saggezza dei gatti - da "Racconti che fanno le fusa" di Julia Deuley
In un tempo molto,molto lontano, un tempo così antico che anche le rocce più vecchie non ne conservano traccia, il Creatore di tutte le cose convocò presso di sé le diverse categorie di spiriti che aveva deciso di destinare alla Terra.
A ognuna chiese di formulare il più grande dei suoi desideri, al fine di procedere ad un'equa ripartizione delle specie.
Un buon miliardo di stelle nacquero e morirono mentre i diversi clan ponderavano con cura la delicata questione.
Infine ciascuno espresse la propria aspirazione dando libero sfogo ad ambizioni e sogni.
"Vogliamo l'onnipresenza e l'invisibilità" dissero i primi. Nacquero così batteri,virus e microbi.
"Noi desideriamo la fortuna!"
E presero forma le ostriche perlifere.
"Noi vogliamo soggiogare il mondo".
"Noi chiediamo soltanto la virtù della pazienza."
E vide la luce il ragno.
Taluni vollero l'eloquenza e furono trasformati in pappagalli.
Altri l'alta finanza e il Creatore riempì gli oceani di pescecani.
Altri ancora avevano una fortissima inclinazione alla convivenza sociale, lo pregarono di accordare loro la perfetta uguaglianza.
Furono pecore.
Altre richieste erano venate di poesia.
"Desideriamo diffondere la voce del vento ed imparare l'alfabeto dei fiori."
E le farfalle colorarono i cieli.
"Noi saremo gli eterni amanti della Luna, a lei soltanto intoneremo i nostri canti sconsolati."
Il Creatore generò i lupi.
Alcuni spiriti particolarmente rumorosi e inquieti si alzarono in piedi per pretendere con tono altezzoso
un quoziente intellettuale eccezzionalmente brillante e superiore agli altri.
Malgrado l'arroganza di una simile richiesta, il Creatore si strofinò il suo unico immenso occhio e creò gli uomini.
Rimaneva un po' in disparte un piccolo clan di spiriti stranamente silenziosi che osservavano la scena con un certo divertimento.
"E voi ,che cosa desiderate? Parlate senza timore."
La risposta giunse tra un mormorio soffuso.
"La saggezza, o nostro Signore."
Fu così che apparvero i gatti.
In un tempo molto,molto lontano, un tempo così antico che anche le rocce più vecchie non ne conservano traccia, il Creatore di tutte le cose convocò presso di sé le diverse categorie di spiriti che aveva deciso di destinare alla Terra.
A ognuna chiese di formulare il più grande dei suoi desideri, al fine di procedere ad un'equa ripartizione delle specie.
Un buon miliardo di stelle nacquero e morirono mentre i diversi clan ponderavano con cura la delicata questione.
Infine ciascuno espresse la propria aspirazione dando libero sfogo ad ambizioni e sogni.
"Vogliamo l'onnipresenza e l'invisibilità" dissero i primi. Nacquero così batteri,virus e microbi.
"Noi desideriamo la fortuna!"
E presero forma le ostriche perlifere.
"Noi vogliamo soggiogare il mondo".
"Noi chiediamo soltanto la virtù della pazienza."
E vide la luce il ragno.
Taluni vollero l'eloquenza e furono trasformati in pappagalli.
Altri l'alta finanza e il Creatore riempì gli oceani di pescecani.
Altri ancora avevano una fortissima inclinazione alla convivenza sociale, lo pregarono di accordare loro la perfetta uguaglianza.
Furono pecore.
Altre richieste erano venate di poesia.
"Desideriamo diffondere la voce del vento ed imparare l'alfabeto dei fiori."
E le farfalle colorarono i cieli.
"Noi saremo gli eterni amanti della Luna, a lei soltanto intoneremo i nostri canti sconsolati."
Il Creatore generò i lupi.
Alcuni spiriti particolarmente rumorosi e inquieti si alzarono in piedi per pretendere con tono altezzoso
un quoziente intellettuale eccezzionalmente brillante e superiore agli altri.
Malgrado l'arroganza di una simile richiesta, il Creatore si strofinò il suo unico immenso occhio e creò gli uomini.
Rimaneva un po' in disparte un piccolo clan di spiriti stranamente silenziosi che osservavano la scena con un certo divertimento.
"E voi ,che cosa desiderate? Parlate senza timore."
La risposta giunse tra un mormorio soffuso.
"La saggezza, o nostro Signore."
Fu così che apparvero i gatti.
Racconti che fanno le fusa - Julia Deuley
Devo fare una piccola premessa a questo racconto: sono una gattofila. Amo tutti i gatti in ogni loro più piccolo aspetto e per questo quando ho visto questo libro non ho potuto fare a meno di comprarlo.
Non è un brutto libro, ma non tutti i racconti sono piacevoli. Oh alcuni sono molti poetici, altri raccontano di belle leggende sul perchè i gatti si comportino in certi modi, ma alcuni proprio non li ho capiti.
Dal momento che dopo averlo letto non mi sembra giusto consigliarvelo (e farvi spendere 10 euro per leggere solo alcuni bei racconti) ho deciso di fare una selezione di questi racconti e postarveli. Ovviamente se decideste di leggere il libro potreste trovare che alcuni racconti scelti da me non fossero più belli di altri da me scartati, ma siccome non posso accontentare tutti, vi dovrete accontentare voi!
E vi prego non ditemi che siete amanti dei cani!
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