giovedì 23 agosto 2012

Una questione privata - Beppe Fenoglio

E' una questione privata che porta Milton, partigiano badogliano, a intraprendere un "viaggio" per cercare l'amico Giorgio. Vado con ordinen
? Forse è meglio. Giorgio e Milton sono amici, quasi fratelli, ma sono assolutamente diversi. Milton è brutto, ma acculturato: parla inglese, andava all'universotà, scrive lettere bellissime. Giorgio è bello, ma non sa fare alcuna delle cose sopracitate. Giorgio presenta a Milton Fulvia, una ragazza di Torino, temporaneamente sfollata ad Alba. Milton se ne innamora, ma Fulvia non ne vuole sapere mezza. La ragazza è più affine a Giorgio e infatti sembra che tra i due ci sia qualcosa che Milton non vede.
Diventato un partigiano, Milton si ritrova davanti alla villa di Fulvia e decde di entrare per vedere la ragazza. Lei però è tornata a Torino e il partigiano si trova davanti la governante che gli mette la pulce nell'orecchio su una possibile relazione tra Fulvia e Giorgio. 
Vivendo la cosa come un tradimento Milton va sulle tracce dell'amico per chiedergli... non sa bene neanche lui cosa chiedergli, immagino se sia vero che aveva un relazione con Fulvia. 
Quando arriva nel comando di Giorgio (partigiano anche lui), scopre che l'amico è stato catturato dai fascisti. Allora parte per cercare un ostaggio fascista da scambiare, lo cattura, ma poi è costretto a ucciderlo. Vedendosi negata l'ultima possibilità per riscattare Giorgio e di conseguenza per scoprire la verità, decide di tornare alla villa e intimare alla governante di spiegarsi meglio, senza mezze parole. 
Sulla strada però incontra una pattuglia fascista da cui viene inseguito a suon di spari, Milton entra in un bosco dove crolla. 
FINE
Il romanzo è pubblicato postumo, quindi non sapremmo mai se è incompiuto, con finale aperto o se finisca con la morte del protagonista.
Il romanzo non è scritto male ed è una lettura piacevole, ma... con  tutti i problemi che avevano i partigiani (freddo, mancanza di cibo, mancanza di armi, etc...) questo era l' UNICO problema di Milton?

lunedì 20 agosto 2012

Il segreto dei Segonzac - Alberto Ongaro

Un uomo trova un dipinto incompleto e inventa la storia dei personaggi rappresentati.
Philippe Ségonzac cavalca da solo quando improvvisamente qualcuno tenta di ucciderlo. Miracolosamente riesce a scappare e si reca a casa del padre. Essendo medico viene chiamato per soccorrere un ferito in una locanda dove alberga un signorotto (stile Don Rodrigo) che è il feritore. Philippe armato di un senso dell'onore altissimo scaccia il signorotto che saputo il suo nome esclama: " Ma come! Voi dovreste essere morto!" (o qualcosa del genere). E' così che Philippe scopre che qulacuno lo vuole uccidere, m non sa perchè. L'inizio è promettente, sembra uno dei soliti gialli storici, di quelli che ogni tanto a piacere leggere, anche se ne hanno già scritti migliaia. La narrazione è scorrevele, ma la trama è così banale che a metà del libro se non avevo ancora capito qual'era il segreto, ero già certa che i fratelli che gli davano la caccia lo facevano perchè lui doveva sapere un segreto che in realtà non sa, e siccome gli danno la caccia questo segreto lui lo scopre.
Questo segreto è poi una cavolata assurda e non si capisce per quale arcano motivo Philippe dovrebbe rivelarlo. I due fratelli (gemelli) fanno parte di una ricca e nobile famiglia francese e il loro segreto è che quello che loro ritengono essere loro nonno è in realtà loro padre. Infatti quello che loro chiamano padre aveva una moglie che era morta di parto insieme al figlio. Nello stesso momento una delle amanti del "nonno" era morta dando alla luce due gemelli. Così sotto consiglio (scherzoso?) del padre di Philippe il "nonno" per non abbandonare i figli e non creare scandalo fa passare i due gemelli come i nipoti legittimi sopravvisuti alla nuora deceduta. Ora la femmina dei due gemelli scopre la verità e ha una brutta sensazione (ebbene sì, è una sensitiva) così ordina al fratello di uccidere Philippe. Per una sorta di fato greco ciò che si cerca di contrastare avviene ugualmente (come Laio che espone Edipo perchè non lo uccida, Edipo viene salvato e lo uccide proprio perchè non sa che è suo padre) e Philippe scopre il segreto.
Libro fortemente sconsigliato; adatto per ricevere una fregatura nel finale.

La mandragola - Macchiavelli

Un giovane fiorentino immigrato in Francia sente tessere le lodi di una giovane donna e torna a Firenze per vedere se è veramente bella come gli avevano detto. Vedendola se ne innamora. L' unico problema è che la donna in questione è timorosa di Dio e sposata. Così il giovane elabora un contorto piano, "macciavellico" appunto, per andare a letto con lei. Chiama così il marito di lei spacciandosi per medico e, sapendo che i due sposi vorrebbero avere figli ma non ci riescono, gli propone una pozione di mandragola che però ucciderebbe il primo a copulare con la donna. Devono trovare quindi un uomo e convincerela donna. Il primo di quest problemi è risolto, il falso medico travestito sarà il volontario, mentre la donna viene convinta dal suo confessore corrotto dal marito stesso.
Durante la notte d'amore il giovane si rivela alla donna e le racconta il piano da lui escogitato. Lei decidendo che il marito è così stupido da meritarsi tutte le corna, prende il giovane come suo amante fisso con la promessa però che l'avrebbe sposata se il marito fosse morto (d'altronde è timorata di Dio, ve lo avevo detto!)

"La mandragola" è un opera teatrale pubblicata nel 1524 (l'esatta data di scrittura è incerta). E' scritto in volgare, quindi il linguaggio è un po' arcaico, non venendo da una traduzione dal latino. Il testo è breve, scorrevole e simpatico. Assolutamente consigliato.
Si legge in poco tempo e strappa più di un sorriso.

I figli della mezzanotte - Salman Rushdie

I figli della mezzanotte sono bambini nati tra la mezzanotte e l'una del 15 agosto 1947  e hanno poteri speciali.
Detto così può sembrare un libro fantastico, quasi adolescenziale.
Bhe non è così. Anzi è tutto il contrario. Non tutti i bambini nati in quel momento hanno poteri straordinari, ma solo quelli nati in India perchè il 15 agosto 1947 coincide con l'indipendenza indiana.
Il protagonista è Salem Sinai, che narra la sua vita a partire dalle origini della sua famiglia. Il libro è esattamente come ci si aspetterebbe di trovare un bazar indiano, caotico, pieno, straripante, pieno di flashback e anticipazioni. E' difficilissimo da seguire ed è difficilissimo da ricordare: a tutti i fatti viene data la stessa importanza.
Per quanto sembri importante l' incontro tra il nonno e la nonna materni di Salem o il primo matrimonio della madre del protagonista, il vero libro inizia con la nascita di Salem. Che scopriamo non essere il vero figlio dei personaggi finora descritti, ma essere stato scambiato nella culla da quella che poi diventerà la sua tata a causa del senso di colpa.
Salem ha il potere di entrare nella mente delle persone e un olfatto che gli permette di percepire le emozioni.
E lo vediamo così in mezzo a ogni genere di avventure, dalla perdita della memoria e l'arruolamento nell'esercito, dal matrimonio con una dei bambini della mezzanotte Parvati-la-strega, all'arresto e all'evirazione ordinata dalla Vedova  (Indira Ghandi) per tutti i bambini della mezzanotte affinchè perdano i loro poteri, al ritrovamento della vecchia governante che lo ospita. Qui lui incontra Padma, la sua ascotatrice alla quale fa leggere il libro che sta scrivendo per il figlio che Parvati aveva avuto da Shiva, la nemesi di Salem nonchè il bambino con cui era stato scambiato, di cui Salem si era fatto carico dopo la morte della donna.
Come libro non è un granchè, la storia a grandi linee si capisce ma è farcita da minuscoli dettagli che si riversano sulle pagine e che fondalmentalmente non servono a nulla. Sono impossibili da ricordare tutti eppure dopo un centinaio di pagine rispuntano fuori in relazione a qualche altro dettaglio assolutamente inutile.
Non è il miglior libro che abbia mai letto, non è neanche brutto. E' una via di mezzo, ma non ve lo consiglio a patto che non siate affascinati dall' India.

domenica 12 agosto 2012

Candido - Voltaire

Io vi giuro che Candido l' ho letto. Ma non l' ho capito.Sinceramente non ho capito la sua filosofia e la sua morale. A parte forse che "Il lavoro è fine ultimo e se fatto con piacere scaccia noia, miseria e vizi". Questa è una mia supposizione.
Poi ho letto "Perchè leggere i classici" e c'era un saggio. Sono riuscita a capire meglio e ho deciso che forse anche voi, miei sette lettori, potreste preferire leggere una spiegazione di un uomo illustre come Calvino piuttosto che me mentre cerco di riassumere approssimativamente il saggio. 

Candide o la velocità:
" Personaggi filiformi, animati da una guizzante mobilità, si allungano, si contorcono in una sarabanda di leggerezza graffiante: così Paul Klee  nel 1911 illustrava il Candide di Voltaire, dando forma visuale - e quasi direi musicale - all'allegria energetica che questo libro - al di là del fitto involucro di riferimenti a un' epoca e a una cultura - continua a comunicare al lettore del nostro secolo.
Nel Candide oggi non è il racconto filosofico che più ci incanta, non è la satira, non è il prender forma di una morale e di una visione del mondo: è il ritmo. Con velocità e leggerezza, un susseguirsi di disgrazie supplizi massacri corre sulla pagina, rimbalza di capitolo in capitolo, si ramifica e moltiplica senza provocare nell' emotività del lettore altro effetto che d'una vitalità esilarante e primordiale. Se bastano le tre pagine del capitolo VII perché Cunégode renda conto di come, avendo avuto padre madre fratello fatti a pezzi dagli invasori, venga violentata, sventrata, curata, ridotta a far da lavandaia, fatta oggetto di contrattazione in Olanda e in Portogallo, divisa a giorni alterni tra due protettori di diversa fede, e così le capiti di assistere all' autodafé che ha per vittime Pangloss e Candide e a ricongiungersi con quest' ultimo, meno di due pagine del capitolo IX sono sufficienti perché Candide si trovi con due cadaveri tra i piedi e Cunégode possa esclamare: Come hai mai fatto, tu che sei nato così mansueto, ad ammazzare in due minuti un giudeo e un prelato? E quando la vecchia servente deve spiegare perché ha una natica sola, dopo aver cominciato a raccontare la sua vita da quando figlia di un papa, all' età di tredici anni, nello spazio di tre mesi aveva provato la miseria, la schiavitù, era stata violentata quasi tutti i giorni, aveva visto tagliare sua madre in quattro pezzi, aveva sopportato la fame e la guerra, e moriva appestata in Algeri, deve arrivare a dire dell'assedio di Azov e dell'insolita risorsa alimentare che i giannizzeri affamati trovano nelle natiche femminili, ebbene, qui le cose vanne più per le lunghe, ci vogliono due capitoli interi, diciamo sei pagine e mezzo. 
La grande trovata del Voltaire umorista è quella che diventerà uno degli effetti più sicuri del cinema comico: l'accumularsi di disastri a grande velocità. E non mancano le improvvise accelerazioni di ritmo che portano al parossismo il senso dell'assurdo: quando la serie delle disavventure già velocemente narrate nella loro esposizione per disteso viene ripetuta in un riassunto a rotta di collo. E' in un gran cinematografo mondiale che Voltaire proietta nei suoi fulminei fotogrammi , è il giro del mondo in ottanta pagine, che porta Candide dalla Vestfalia natia all' Olanda al Portogallo all'America del Sud alla Francia all'Inghilterra a Venezia in Turchia, e si dirama nei giri del mondo suppletivi dei personaggi comprimari, maschi e soprattutto femmine, facili prede di pirati e mercanti di schiavi tra Gibilterra e Bosforo. Un gran cinematografo dell'attualità mondiale, soprattutto: coi villaggi massacrati nella guerra dei Sette Anni tra prussiani e francesi (i bulgari e gli àvari), il terremoto di Lisbona del 1755, gli autodafé dell' Inquisizione, i Gesuiti del Paraguay che rifiutano il dominio spagnolo e portoghese, le mitiche ricchezze degli Incas, e qualche flash più rapido sul protestantesimo in Olanda, sull' espandersi della sifilide, sulla pirateria mediterranea e atlantica, sulle guerre intestine del Marocco, sullo sfruttamento degli schiavi negri nella Guiana, lasciando un certo margine per le cronache letterarie e mondane parigine e per le interviste ai molti re spodestati del momento, convenuti al carnevale di Venezia.
Un mondo che va a catafascio, in cui nessuno si salva in nessun posto, se si eccettua l' unico paese saggio e felice, El Dorado. La connessione tra felicità e ricchezza dovrebbe essere esclusa, dato che gli Incas ignorano che la polvere d' oro delle strade e i ciottoli di diamanti abbiano tanto valore per gli uomini del Vecchio Mondo: eppure, vedi il caso, una società saggia e felice Candide la trova proprio tra i giacimenti di metalli preziosi. Là finalmente Pangloss potrebbe avere ragione, il migliore dei mondi possibili potrebbe essere realtà: solo che El Dorado è nascosto tra le più inaccessibili giogaie delle Ande, forse in uno strappo della carta geografica: è un non-luogo, un' utopia.
Ma se questo Bengodi ha quel tanto di vago e di poco convincente che è proprio delle utopie, il resto del mondo, con le sue assillanti tribolazioni, anche se raccontate alla svelta, non è affatto una rappresentazione di maniera. E' a questo prezzo che voi mangiate zucchero in Europa! dice il negro della Guiana olandese, dopo aver informato dei suoi supplizi in poche righe; e la cortigiana, a Venezia: Ah, signore, se lei potesse immaginare cos'è, dover accarezzare indifferentemente un vecchio mercante, un'avvocato, un frate, un gondoliere, un abate; essere esposta a tutti gli insulti, a tutti gli affronti; essere spesso ridotta a chiedere in prestito una gonna per andare a farsela togliere da un uomo ributtante; essere derubata da uno di quanto s'è guadagnato con l'altro; essere taglieggiata dagli ufficiali di giustizia, e non aver altra prospettiva che un' orrenda vecchiaia, un ospedale, un letamaio...
Certo i personaggi del Candide sembrano fatti di gomma: Pangloss marcisce dalla sifilide, lo impiccano, lo legano al remo di una galera, e lo ritroviamo sempre vivo e vegeto. Ma sarebbe sbagliato dire che Voltaire sorvoli sul costo delle sofferenze: quale altro romanziere ha il coraggio di farci ritrovare l'eroina che all'inizio è vivace di colorito, fresca, grassa, appetitosa, trasformata in una Cunégode inscurita, con gli occhi cisposi, il seno piatto, le guance rugose, le braccia rosse e screpolate ? 
Ci accorgiamo a questo punto che la nostra lettura del Candide, che voleva essere tutta esterna, tutta in superficie, ci ha riportato al centro della filosofia, della visione del mondo di Voltaire. Che non è da riconoscersi soltanto nella polemica con l'ottimismo provvidenzialistico di Pangloss: a ben vedere, il mentore che accompagna Candide più a lungo non è lo sfortunato pedagogo leibniziano, ma il manicheo Martin, il quale è portato a vedere nel mondo solo le vittorie del diavolo; e se Martin sostiene la parte dell' anti-Pangloss, non si può certo dire che sia lui ad avere partita vinta. Vano - dice Voltaire - è cercare una spiegazione metafisica del male, come fanno l'ottimista Pangloss e il pessimista Martin, perchè questo male è soggettivo, indefinibile e non misurabile; il credo di Voltaire è antifinalistico, ossia, se il suo Dio ha un fine, sarà un fine imperscrutabile; un disegno dell' universo non esiste o, se esiste, spetta a Dio il conoscerlo e non all' uomo; il razionalismo di Voltaire è un atteggiamento etico e volontaristico che si campisce su uno sfondo teologico incommensurabile all' uomo quanto quello di Pascal.
Se questa giostra di disastri può essere contemplata col sorriso a fior di labbra è perchè la vita umana è rapida e limitata; c'è sempre qualcuno che può dirsi più sfortunato di noi; e chi putacaso non avesse nulla di cui lagnarsi, disponesse di tutto ciò che la vita può dare di buono, finirebbe come il signor Pococurante senatore veneziano, che se ne sta sempre con la puzza sotto il naso, a trovar difetti dove non dovrebbe trovar che motivi di soddisfazione e ammirazione. Il vero personaggio negativo del libro è lui, l'annoiato Pococurante; in fondo Pangloss e Martin, pur dando a domande vane risposte insensate, si dibattono negli strazi e nei rischi che sono la sostanza della vita.
La sommessa vena di saggezza che affiora nel libro attraverso marginali portavoce quali l'anabattista Jacques, il vegliardo inca, e quel savant parigino che somiglia molto all'autore,si dichiara alla fine per bocca del derviscio nella famosa morale del coltivare il nostro orto. Morale molto riduttiva, certo: che va intesa prima di tutto nel suo significato intellettuale antimetafisico: non devi porti altri problemi se non quelli che non puoi risolvere con la tua diretta applicazione pratica. E nel suo significato sociale: prima affermazione del lavoro come sostanza di ogni valore. Oggi l'esortazione il faut cultiver notre jardin suona ai nostri orecchi carica di connotazioni egoistiche e borghesi: quanto mai stonata se confrontata alle nostre preoccupazioni e angosce. Non è un caso che essa sia enunciata nell' ultima pagina, quasi già fuori da questo libro in cui il lavoro appare solo come dannazione e in cui i giardini vengono regolarmente devastati: è un' utopia anch'essa, non meno del regno degli Incas; la voce della ragione nel Candide è tutta utopica. Ma non è neppure un caso che sia la frase del Candide che ha avuto più fortuna, tanto da diventare proverbiale. Non dobbiamo dimenticare il radicale cambiamento epistemologico ed etico che questa enunciazione segnava (siamo nel 1759, esattamente trent'anni prima della presa della Bastiglia): l'uomo giudicato non più nel suo rapporto con un bene e un male trascendenti ma in quel poco o tanto che può fare. E di lì derivano tanto un morale del lavoro strettamente produttivistica nel senso capitalistico della parola, quanto una morale dell' impegno pratico responsabile concreto senza il quale non ci sono problemi generali che possano risolversi. Le vere scelte dell'uomo d'oggi, insomma, partono di lì.

sabato 11 agosto 2012

Perché leggere i classici - Italo Calvino

1- I classici sono quei libri di cui si sente di solito dire: "Sto rileggendo..." e mai "Sto leggendo..."
2-Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserva la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
3-I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
4- D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
5- D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
6- Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
7-I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato.
8- Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
9- I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
10- Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell' universo.
11- Il "tuo" classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
12- E' classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
13- E' classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrone.

Così Calvino descrive i classici. Queste definizioni vengono dal saggio di apertura del libro "Perchè leggere i classici", appunto. Il libro è una raccolta di saggi d'analisi sui classici. Calvino ci parla dell' "Odissea", dell' "Anabasi" di Senofonte, delle "Metamorfosi" di Ovidio, della "Storia Naturale" di Plinio il Vecchio.
Non ci sono però solo classici greci e latini. Classico non si restringe a questa definizione. Un classico è anche Nezami con le sue "Sette principesse" o il poema cavalleresco spagnolo "Tirant lo Blanc".E' sicuramente un classico che merita di essere descritto "L'Orlando furioso".
Oppure invece di trovare un libro o un autore famoso, come Galileo, si possono anche scoprire nuovi classici o nuovi autori come Girolamo Cardano o Savinien de Cyrano, meglio conosciuto come Cyrano de Bergerac, che a quanto pare è anche un autore e non solo un personaggio.
Si spazia da  "Robinson Crusoe" a "Candido" passando per "Jacque le fataliste" di Diderot.
Particolare attenzione viene data a Stendhal e a Montale.
Il saggio su Balzac mi è sembrato particolarmente tirato nel punto in cui lo scrittore preso in esame viene associato ad un saggio su Baudelaire in cui il termine di paragone è Victor Hugo, in cui Calvino ci chiede di sostituire il nome di Balzac a quello di Hugo.
Leggendo questo libro viene voglia di leggere alcuni di questi libri. Io consiglio "Il nostro amico comune" di Dickens o "Due ussari" di Tolstoj o "L' uomo che corruppe Hadleyburg" di Twain.
Alcuni però sono talmente noiosi che sconsiglio "Il dottor Zivago" di Pasternak e Conrad e Ponge e Queneau.
Anche se secondo Ponge : "esistere potrebbe essere un' esperienza più intensa e interessante e vera di quel distratto tran-tran in cui si è incallita la nostra mente." 
E questo posso accettarlo. Ma non posso leggere infinite descrizioni di porte e alberi. O per lo meno, potrei, se dopo ci fosse altro.

E poi Calvino mi ha "fregato"! Nel retro del libro dice: " Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore." 
Questo vuol dire che posso rifiutarmi di leggere un classico palloso?
SI! TRANNE CHE A SCUOLA. Ecco la fregatura! Andiamo allora: tutti a leggere! Dopotutto non serve a questo il mio blog?

venerdì 10 agosto 2012

Una giornata nell'antica Roma - Alberto Angela

L'antica Roma io me la sono sempre immaginata piena di uomini importanti, politici, comandanti, imperatori, Giulio Cesare, Silla, Mario, Ottaviano Augusto, Pompeo, Antonio. Tutti conosciamo questi nomi. Chi più chi meno dettagliatamente, tutti abbiamo studiato la storia romana e i grandi personaggi storici.
Quello su cui non ci siamo mai concentrati è la vita comune, quello che faceva la gente normale, come noi. Non spicca nessun nome importante nella narrazione, vediamo la vita comune in scena.
Arriviamo nell'antica Roma all'alba. Davanti a noi una statua di marmo all'incrocio di una strada.
Siamo un' incrocio tra viaggiatori del tempo e fantasmi invisibili. Entriamo in una domus patrizia, ne studiamo l'architettura e l'arredamento, vediamo il padrone svegliarsi e vestirsi, vediamo la padrona svegliarsi e vestirsi, la toletta di entrambi , la colazione. Entriamo in una insula e vediamo i piani bassi, quasi signorili, e i degradatissimi piani alti. Scopriamo i negozi, le botteghe, le divinità. Vediamo gli insegnanti elementari per le strade, entriamo nel Foro Boario, mercato delle bestie, e ci troviamo al mercato degli schiavi. Cerchiamo di comprendere questo oscuro commercio, ci vengono spiegati i loro compiti e le modalità di liberazione. Andiamo ai Fori, passiamo per la Basilica Giulia, dove assistiamo ad un processo, e poi al Senato. Andiamo nelle latrine pubbliche, assistiamo ad una nascita e incontriamo Tacito. Mangiamo un boccone in una taverna e facciamo un bagno alle terme. Paghiamo per entrare al Colosseo dove vediamo incontri tra i gladiatori. Seguiamo un signore invitato a banchetto e ci vengono raccontate stranissime ricette. Ci ritroviamo a mezzanotte davanti a una statua di marmo all'incrocio di una strada.
Curiosità e fatti sono documentati. Gli episodi sono ricostruiti sulla base di ritrovamenti archeologici dettagliati. Ho trovato simpatici e carini gli approfondimenti, come quello sui nomi romani, quello sul valore del denaro o quello dove veniva spiegato per filo e per segno come indossare una toga con tanto di disegno (utile anche per travestirsi a Carnevale!).
La lettura è scorrevole e piacevole.
Se siete curiosi, merita di essere letto.